Si incontra
sempre più spesso, in articoli che esaminano la crisi mediorientale, la
citazione di una dichiarazione di Hillary Clinton, ex Segretario di Stato USA
ed ora candidata democratica alle prossime elezioni presidenziali: «l’Isis è
una nostra creatura che ci è sfuggita di mano». Certo una simile affermazione
illumina, senza costringere a perdere troppo tempo nella faticosa lettura di
ricerche, analisi storiche e sociologiche e documenti, lo scenario
mediorientale e consente di costruirvi sopra una comprensibilissima spiegazione
degli eventi.
Il guaio è
che questa affermazione non esiste. Non risulta da nessuna parte che la Clinton
abbia mai detto nulla del genere. Ci siano due interventi che in genere vengono
portati a prova di questa fantomatica citazione. Il primo è una lunga
intervista rilasciata da Hilary Clinton alla rivista americana The Atlantic
nell’agosto del 2014, nella quale delinea la sua visione di politica estera.
Dai temi affrontati emerge con evidenza che la candidata presidenziale
democratica si colloca a destra di Obama, proponendo una prospettiva che, senza
cadere nell’aggressività ideologica dei neoconservatori e dei cosiddetti
“teo-con” (reazionari orientati da una abbondante dose di integralismo
religioso) al potere al tempo di Bush e responsabili del disastro iracheno,
risulta decisamente più interventista e militarista di quella dell’attuale
Presidente.
Sull’ISIS,
la Clinton esprime una tesi molto precisa ed ovviamente contestabile che è la
seguente: se gli Stati Uniti avessero sostenuto con molta più decisione
l’opposizione siriana ad Assad nella prima fase della guerra civile (e si
intende con armi, finanziamenti e addestramento militare) non si sarebbe
determinato quel vuoto nel quale ha potuto crescere e prendere piede lo Stato
Islamico. Siamo quindi molto lontani dal dichiarare che “l’ISIS è una nostra
creatura che ci è sfuggita di mano”.
La seconda
fonte è un video, mostrato anche da Crozza (ormai i comici hanno sostituito gli
“intellettuali organici” di un tempo), nel quale la Clinton, con indubbia
franchezza, ricorda quanto avvenne in Afghanistan negli anni ’80. In quel
periodo gli Stati Uniti finanziarono e sostennero l’opposizione islamica in
funzione anti-sovietica per poi trovarsi successivamente a dover combattere
quelle stesse forze alle quali si erano alleati. Il video è una estrapolazione
di un discorso più ampio ed evidentemente risalente a qualche anno fa e quindi
viene tolto dal contesto e non consente di capire esattamente qual è
l’obbiettivo del discorso della Clinton.
Nel caso del
video apparentemente non c’è manipolazione, ma in realtà nei sottotitoli un
riferimento all’ISI, che nel contesto è evidentemente l’Inter-Service
Intelligence (ISI), ovvero la CIA pakistana, viene tradotto come Stato
Islamico. Non saprei dire se si tratta di una deliberata falsificazione o di un
effetto dell’ignoranza del traduttore, ma il risultato non cambia.
Ora si dirà,
“qual è il problema?”, al di là delle citazione taroccate o manipolate, la
sostanza non cambia, l’ISIS è comunque stato “creato” dagli Stati Uniti. Penso
invece che il problema ci sia e che riguardi sia il metodo con il quale
conduciamo le nostre analisi e dalle quali dovremmo poi far discendere la
nostra proposta politica, sia il merito, ovvero l’idea che attraverso queste
pseudo-citazioni viene espressa sulle ragioni della crisi mediorientale.
Dal punto di
vista del metodo, credo che dovremmo darci strumenti collettivi, oggi
largamente assenti, per comprendere situazioni complesse e far comprendere ad
uno strato più largo di opinione pubblica che si interroga sugli avvenimenti,
ciò che accade nella realtà mediorientale. Non si può fondare un’azione
politica che contrasti il militarismo, il razzismo, la xenofobia, le politiche
imperiali, il terrorismo ed i rigurgiti di forze clericali e reazionarie,
somministrando analisi manichee, semplicistiche e consolatorie fondate sul
taglia e cuci di patacche informative che circolano in grande quantità su
internet.
Nel merito
dovremmo poter ragionare su alcuni punti che qui posso solo citare in forma di
interrogativi: 1) possiamo interpretare la crisi mediorientale esclusivamente
secondo una logica “campista” e bipolare (imperialismo/antimperialismo) come se
ci fosse ancora l’Unione Sovietica come fanno alcune forze comuniste o di
sinistra? 2) gli Stati Uniti sono il deus ex-machina che controlla tutto quello
che succede in Medio Oriente (dall’ISIS alle cosiddette “primavere arabe”) o
siamo invece in presenza di una crisi di egemonia della massima potenza
imperiale dopo il fallimento della guerra e del dopo-guerra in Iraq? 3) I
conflitti ed i problemi del Medio Oriente sono tutti sovraordinati dall’azione
delle potenze esterne (USA, Occidente) o dalla politica di Israele, o sono in
misura rilevante anche il frutto di crisi e contraddizioni interne politiche,
ideologiche, religiose, economiche e sociali? 4) La crescita di molteplici
movimenti islamici radicali con forti basi di massa, a partire dalla
rivoluzione khomeinista in Iran, sono il frutto di spinte interne o solo il prodotto
delle “barbe finte” della CIA e dei soldi dell’Arabia Saudita? 5) Le politiche
neoliberiste dominanti a livello mondiale hanno avuto un impatto sui processi
disgregativi in atto in quei Paesi e non solo in Europa o in America Latina?
Cominciare a
dare qualche risposta a questi interrogativi, confrontandosi anche con le varie
forze che in Medio Oriente vivono sulla
loro pelle i molteplici conflitti in corso e cercano di delineare una via
d’uscita progressista, socialmente e politicamente più avanzata, potrebbe dare
maggiore respiro anche alla nostra iniziativa politica.
Franco
Ferrari
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