di Franco Ferrari
Dopo il crollo dell’URSS e del socialismo reale era
convinzione diffusa che in breve tempo le residue forze politiche di
ispirazione comunista sarebbero scomparse dalla scena o confinate in ambiti
molto marginali dei sistemi politici europei. Questa idea era così radicata che
Massimo D’Alema dichiarò, facendo ricorso al suo abituale ma non sempre
preveggente sarcasmo, che ormai a
sinistra fuori dell’Internazionale Socialista restavano solo Rifondazione
Comunista e Fidel Castro e anche quest’ultimo non stava molto bene.
Da allora sono emerse le nuove esperienze
latinoamericane ed anche in Europa, dove ormai si pensava che la
socialdemocrazia avrebbe rafforzato ovunque il suo dominio, sì è registrata una
ripresa significativa di forze politiche che si collocano alla sua sinistra.
Le ultime elezione europee hanno fatto registrare un
rafforzamento del Gruppo Unitario della Sinistra (GUE/NGL) nel quale
confluiscono la quasi totalità delle forze di sinistra. Complessivamente le
forze della sinistra alternativa (o radicale come abitualmente viene definita
nel mondo anglosassone) hanno raccolto 12.981.000 voti con un incremento di un punto
percentuale sulle elezioni precedenti. Un risultato che risente ancora di una
diseguale distribuzione fra i vari Paesi e dell’assenza di partiti
significativi in numerosi paesi importanti come la Gran Bretagna e la Polonia.
Vi sono Paesi nei quali i partiti della sinistra
alternativa hanno sorpassato, sul piano
del consenso elettorale, i partiti socialdemocratici.
Nel caso di Cipro, il locale partito comunista,
AKEL, è da sempre un partito con un seguito elettorale ed un radicamento di
massa, rapportato alle dimensioni e alla popolazione dell’isola, ben più forte
del partito socialdemocratico. Questo primato è rimasto incontrastato anche
dopo il crollo dell’Unione Sovietica, alla quale pure l’AKEL era
particolarmente legato e si è confermato nelle più recenti elezioni
presidenziali, nonostante la crisi di consenso che ha colpito il partito dopo
la non felice esperienza della Presidenza del comunista Christofias.
In Grecia, per effetto della gravissima crisi economica
e sociale si è assistito alla quasi scomparsa dei socialdemocratici del PASOK
(un tempo partito populista e radicale poi normalizzato lungo una via di
centro-sinistra moderato alla Tony Blair) e all’accesso al governo di SYRIZA,
partito che ha raccolto nel tempo gran parte delle forze della sinistra
alternativa e radicale attorno al Synaspimos.
In Spagna, al nuovo raggruppamento Podemos sembra
possibile, stando ai sondaggi, quel sorpasso che era mancato ad Izquierda Unida
nella sua fase di maggior successo, quando era guidata dal popolare Julio
Anguita, mentre i socialisti pagavano in termini di popolarità i numerosi
scandali nei quali erano coinvolti. Le elezioni politiche si terranno alla fine
del 2015 e si vedrà se l’onda di consenso che si è riversata su Podemos potrà
tradursi nel successo sperato.
Ma vi sono anche altri paesi nei quali il primato
socialdemocratico a sinistra è messo in discussione. In Irlanda, il Sinn Fein,
partito nazionalista di sinistra aderente al GUE, ha raggiunto nelle elezioni
europee quasi il 20%, mentre i laburisti, al governo con un partito di
centro-destra, sono scesi a poco più del 5%.
In Olanda, le recenti elezioni provinciali hanno
registrato una forte crescita del Partito Socialista (anch’esso aderente al
GUE) che diventa il primo partito di sinistra, mentre cala drasticamente il
Partito Laburista (centro-sinistra) anche qui al governo con il centro-destra.
Questi dati hanno prodotto una crescente attenzione
verso la sinistra alternativa europea da parte di studiosi, giornalisti e
militanti e all’uscita di numerosi volumi che raccolgono studi sui singoli
paesi e/o partiti. La Fondazione Rosa Luxemburg ha pubblicato, nell’arco di
alcuni anni, 3 volumi di saggi che hanno fornito un quadro ampio delle
principali forze politiche e della loro evoluzione. Altri studi sono stati
prodotti da una fondazione democristiana tedesca e dall’Istituto di ricerca che
fa capo alla Quarta Internazionale. Singoli studiosi di diverso orientamento
quali Luke March e Kate Hudson (che è anche militante politica di sinistra
oltre che ricercatrice) hanno pubblicato saggi complessivi sull’evoluzione
della sinistra alternativa europea. A sancire il mutamento di atteggiamento
anche da parte di ambienti anticomunisti giunge l’ultimo numero della rivista
francese Communisme, diretta da Stephane
Courtois (curatore del noto e molto discusso “Libro nero del comunismo”)
dedicato all”eterno ritorno” dei comunisti in Europa.
D’altra parte, Pascal Delwit, un politologo belga,
piuttosto vicino al centro-sinistra ha pubblicato recentemente un articolo sul
quotidiano economico francese Les Echo intitolato: “La socialdemocrazia europea
si gioca ormai la sua sopravvivenza”. Delwit mette l’accento sui mutamenti
sociali (la riduzione della classe operaia della grande industria) ma anche
sulla incapacità, o non volontà, della socialdemocrazia di sostenere
un’alternativa al neoliberismo come ragioni della crisi. Per questi motivi il
tracollo del PASOK greco, più che costituire un caso eccezionale, potrebbe
prefigurare il destino finale della socialdemocrazia europea. La sinistra
“radicale”, lungi dall’essere un fenomeno residuale, potrebbe diventare l’unica
possibilità di realizzare un’alternativa politica all’egemonia finora
incontrastata del liberismo.
L’accresciuta attenzione degli studiosi e degli
analisti si è purtroppo rivolta in misura limitata agli specifici aspetti
organizzativi che sono l’oggetto del presente testo. Un tentativo di analisi
comparata dell’organizzazione dei partiti di sinistra non può pertanto che essere
ancora molto parziale e lacunoso.
La forza
elettorale
Prima di passare in rassegna alcuni aspetti delle
modalità organizzative proprie ai partiti considerati, è opportuno definire in
termini quantitativi il campo della sinistra alternativa e anticapitalista in
Europa, richiamando i dati elettorali ottenuti nelle più recenti elezioni
politiche parlamentari nazionali (tranne per Podemos che si è presentato per la
prima volta alle europee del 2014). I partiti i cui nomi sono sottolineati
aderiscono al Partito della Sinistra Europea come membri od osservatori). In
questa lista sono comprese alcuni forze (il KKE ed i Socialisti Popolari danesi) che non aderiscono al GUE per motivi
diversi, ma che vengono abitualmente considerati parte di questo campo e SEL
che ha avuto quanto meno un atteggiamento oscillante tra la socialdemocrazia e
la sinistra alternativa. L’elenco è disposto sulla base del numero assoluto dei
voti e non della forza relativa alle dimensioni dell’elettorato, misurabile con
le percentuali che comunque vengono fornite a fianco.
Die Linke (Germania) 3.756.000
8,6%
Syriza 2.246.000 36,3%
Front de Gauche (Francia) 1.792.000 6,9%
Izquierda Unida (Spagna) 1.686.000 6,9%
Podemos 1.254.000 8,0% (elezioni europee)
Sinistra Ecologia Libertà (Italia) 1.089.000 3,2%
Partito Socialista (Paesi Bassi) 910.000 9,7%
Partito Comunista Boemo-moravo 741.000 14,91%
Rivoluzione Civile (Italia) 765.000 2,2%
Partito Comunista Portoghese
441.000 7,9%
Partito di Sinistra (Svezia) 356.000 5,7%
Partito Comunista Greco (KKE) 338.000 5,5%
Partito Socialista Popolare (Danimarca) 326.000 9,2%
Blocco di Sinistra (Portogallo) 289.000 5,2%
Partito Comunista della Repubblica di Moldavia 279.000 17,5%
Estrema Sinistra Francese (NPA, LO, POI)
253.000 1,0%
PTB (Belgio) 251.000 3,7%
Alleanza di sinistra (Finlandia) 239.000 8,1%
Lista Rosso-verde (Danimarca) 237.000 6,7%
Sinn Fein (Irlanda) 221.000 9,9%
Sinn Fein (Irlanda del Nord - UK) 172.000 0,6%
La Sinistra (Lussemburgo) 162.000 4,9%
AKEL (Cipro) 132.000 32,7%
Partito Socialista di Sinistra (Norvegia) 116.000
4,1%
Alleanza Sinistra Unita (Irlanda) 57.000 2,6%
Sinistra Unita (Slovenia) 52.000 6,0%
Sinistra-Verde (Islanda) 21.000 10,9%
Totale 18.181.000
Di cui membri o osservatori della SE 11.559.000 (63,6% del totale)
Considerando altre forze minori, qui non riportate,
si può calcolare che le forze della sinistra anticapitalista e antiliberista
raccolgano ben più di 18 milioni di voti nello spazio europeo (paesi
dell’Unione Europea e Paesi “vicini”) escludendo da questo calcolo la Russia
(dove i comunisti raccolgono 12.600.000 voti) e i paesi ex sovietici, tranne la
Moldavia (complessivamente i PC raccolgono 1.136.000 voti concentrati
prevalentemente in Ucraina e Kazakhstan, ma in molti paesi sono illegali o
operano in condizioni particolarmente difficili).
Per fare un confronto storico si può ricordare che i
partiti comunisti dell’Europa occidentale a metà degli anni ’70 raccoglievano
23 milioni di voti. Di questi però quasi 13 milioni in Italia e 6 milioni in
Francia. Se si prescinde da questi 2 Paesi, e soprattutto dall’Italia, dove si
sono “persi” 11 milioni di voti, per effetto dello scioglimento del PCI, in
diversi Paesi dell’Europa occidentale la forza della sinistra è comparabile o
superiore a quella di 40 anni fa.
Ciò che è cambiato, con un processo che appare
irreversibile a livello europeo, è il peso delle forze che rivendicano
un’identità comunista all’interno di una sinistra che è diventata molto più
pluralista. Sulla base della tabella sopra riportata sono meno di un milione di
voti in Europa Occidentale che vanno direttamente a partiti comunisti e circa 1
milione negli ex paesi socialisti. A questi si deve aggiungere una quota non
facilmente identificabile di voti comunisti in liste di coalizione (Spagna,
Francia, Italia) e si può ragionevolmente ipotizzare un elettorato complessivo
di 4 milioni e mezzo di voti. Si tratta di circa un quarto di tutta la sinistra
alternativa. Anche tra gli stessi partiti comunisti esistono poi differente
ideologiche, politiche, organizzative non minori di quelli che esistono tra gli
altri partiti della sinistra alternativa.
Un altro aspetto che va considerato nell’analisi dei
dati elettorali è la ripartizione territoriale. Sul piano dell’azione e del
carattere del partito ha una notevole rilevanza se questo voto è suddiviso più
o meno egualmente sul territorio nazionale oppure se ha una forte
concentrazione in alcune aree geografiche. Questa diffusione del voto ha almeno
due effetti. Innanzitutto accresce il peso della presenza istituzionale a
livello locale, perché consente al partito in oggetto di disporre di quello
che, in Francia, è stato chiamato come “comunismo municipale”. In secondo luogo
in queste zone il partito assume dimensioni di massa qualitativamente e non
solo quantitativamente diverse da quelle che ha nelle altre regioni.
Differenze significative in tal senso si registrano
in almeno tre Paesi: Francia, Portogallo, Germania. In Francia, il PCF ha
potuto contare per molti anni sulle zone “rosse” che consistevano
principalmente nella banlieue parigina, nelle zone operaie del Nord (dove però
era forte la concorrenza di una tradizione riformista operaia nella SFIO), in
un zona centrale a base rurale (il dipartimento dell’Allier) ed in una parte
ampia del sud (regione intorno a Marsiglia). Negli ultimi anni per una serie di
ragioni sociali e politiche queste zone tendono a normalizzarsi, mentre il
Front de Gauche ha registrato una crescita in aree dove non esisteva una forte
tradizione comunista. Questo cambiamento tende a far diminuire il peso delle
zone dove il partito ha un insediamento sociale di massa (anche se indebolito) e
incrementare quelle nelle quali invece il voto tende a diventare
tendenzialmente d’opinione.
Nel caso del Portogallo è evidente la differenza che
deriva dalla comparazione del voto del PCP con quello del Blocco di Sinistra.
Quest’ultimo è relativamente disperso sul territorio in modo omogeneo ed a
questo corrisponde uno scarso insediamento organizzativo che si riscontra nel
voto per le elezioni locali, normalmente molto più basso che nelle votazioni
politiche generali. Il Partito Comunista ha invece consensi più elevati ma
fortemente concentrati in alcune regioni (Beja, Evora, Setubal) dove raggiunge
percentuali che vanno dal 20 al 25%. Sono ancora le zone della riforma agraria
conquistata dopo la caduta del fascismo e quelle a dominante operaia della
cintura di Lisbona. Pur avendo percentuali comparabili sul piano nazionale, il
KKE (l’altro partito della corrente comunista “ortodossa”) non dispone più di
vere e proprie “zone rosse” e ha perso quasi tutte le roccaforti di “comunismo
municipale”, mantiene però un insediamento organizzato soprattutto attraverso
il PAME, la propria corrente sindacale di partito all’interno dei sindacati
generali.
In Germania è noto il divario esistente tra la parte
orientale (ex DDR) e quella occidentale, anche se il passaggio dalla PDS alla
Linke, con l’afflusso di militanti provenienti dalla socialdemocrazia e dal
sindacato all’Ovest, ha consentito di conquistare nuovi consensi e di entrare
in diversi parlamenti regionali. In Turingia, Sassonia-Anhalt, Sassonia, Meclemburgo-Pomerania
e Brandenburgo, la Sinistra tedesca raccoglie dal 20 al 24% dei voti.
Più equilibrata la suddivisione territoriale del
Partito Comunista Boemo-Moravo che è però tradizionalmente più debole nella
città di Praga (meno del 9,0%) e forte nella regione settentrionale di Usti nad
Labem (dove supera il 20%) e dove ha eletto il governatore.
I
collegamenti internazionali
Dopo la crisi dell’internazionalismo comunista già
evidente dagli anni ’70, sono occorsi diversi anni perché potessero riattivarsi
sedi di confronto internazionale. Tra gli stessi partiti comunisti sono emerse
due tendenze, una orientata a ricostruire sedi specifiche di relazione tra
partiti comunisti e l’altra invece che privilegia relazione politiche con le
varie forze di sinistra anticapitalista e antiliberista, a prescindere dal
riferimento identitario.
A livello globale si sono sviluppate sedi di
confronto che vedono protagonisti i movimenti sociali a fianco dei (e a volte
in polemica con) i partiti politici, come i Social Forum, mondiali e regionali,
mentre manca una sede di incontro della sinistra alternativa nel suo complesso.
L’idea lanciata a suo tempo da Hugo Chavez per la costituzione di una “Quinta
internazionale” non ha avuto seguito. Si sono sviluppati invece alcuni Forum
regionali. Quello più consolidato è il Forum di San Paolo, rivolto alla
sinistra latinoamericana, nato per iniziativa congiunta del PC Cubano e del PT
brasiliano. Di più recente formazione un Forum della sinistra araba, promosso
soprattutto dal PC Libanese, che ha già tenuto incontri regolari ed un Forum
della sinistra africana, animato dal PC Sudafricano e da altri partiti minori.
Esiste da tempo una rete di Partiti Comunisti,
promossa inizialmente dal KKE, che organizza un incontro annuale in sedi
diverse (l’ultimo in Ecuador). Ne fanno parte prevalentemente, ma non
esclusivamente, i partiti di tradizione “filosovietica”. Alcuni partiti
importanti, come il PC Giapponese, non vi hanno mai aderito. Lo stesso PRC vi
ha partecipato occasionalmente ed in un ruolo defilato. Negli ultimi anni in
questi incontri sono emerse importanti divergenze su diverse questioni tra le
quali il giudizio sulla Cina, sulla sinistra latinoamericana, sulla Russia e su
altri temi. In particolare i comunisti greci hanno assunto posizioni
considerate settarie da molti altri partiti comunisti, tendendo a proporsi come
nuovo centro ideologico. Questa strategia lo ha allontanato da una serie di
partiti ideologicamente affini come il PC Portoghese (al quale fa oggi
riferimento anche il PCdI/PdCI).
I principali organismi di collegamento
internazionale esistenti a livello europeo sono il GUE/NGL, il gruppo della
sinistra nel parlamento europeo, e il Partito della Sinistra Europea. Esiste
inoltre una “Iniziativa europea dei partiti comunisti ed operai”, promossa dal
KKE, ed alcune aggregazioni territorialmente più limitate come la “Sinistra
Verde Nordica” e, per l’area dell’ex
Unione Sovietica, l’Unione dei Partiti Comunisti- PCUS, guidata dal Partito
Comunista della Federazione Russa.
Il Partito della Sinistra Europea è stato fondato
nel 2004 a Roma al termine di un processo iniziato 5 anni prima con una
proposta di Lothar Bisky avanzata a Berlino nel corso di un incontro dei
partiti della sinistra alternativa. I principali promotori furono la PDS
tedesca (oggi confluita nella Linke), i comunisti francesi e spagnoli,
Izquierda Unida, Rifondazione Comunista e il Synaspismos (il principali partito
promotore di Syriza). Apertamente contrario il Partito Comunista Greco, per
ragioni insieme ideologiche e politiche essendo ostile all’Unione Europea in
quanto tale, mentre altri partiti pur non avendo pregiudiziali ideologiche,
sono decisamente critici verso ogni forma di rafforzamento della dimensione
politica europea a discapito di quella nazionale, come i socialisti olandesi e una
parte della sinistra scandinava.
Nel tempo il numero dei partiti aderenti ed
osservatori si è allargato fino a superare la trentina, alcuni dei quali molto
piccoli. Complessivamente, se si prendono i dati elettorali dei partiti di
sinistra a livello europeo, la Sinistra Europea raccoglie circa i due terzi
delle forze.
In occasione delle ultime elezioni europee l’SE ha
deciso di presentare la candidatura di Alexis Tsipras alla carica di Presidente
della Commissione europea quale strumento per costruire una convergenza unitaria
delle forze ostili alle politiche di austerità. La candidatura di Tsipras venne
avanzata, in sede di Partito della Sinistra Europea, dal PRC e venne poi
ratificata dal Congresso di Madrid.
Il Partito Comunista Greco non è riuscito ad
impedire la crescita e la stabilizzazione del Partito della Sinistra Europea
nonostante una ossessiva campagna polemica molto aggressiva condotta da anni.
Nel 2013 ha dato vita ad una propria struttura europea con il titolo di “INIZIATIVA
dei Partiti Comunisti e Operai per lo studio, lo sviluppo delle questioni
europee e il coordinamento delle loro attività”, un titolo prolisso quanto
modesto. Ad essa hanno aderito altri 28 partiti, ma si tratta per lo più di
piccoli gruppi molto marginali, in generale frutto di scissioni di altri
partiti, alcune risalenti agli anni ’70 in polemica con l’eurocomunismo come il
PCPE spagnolo, il PC Svedese, il Nuovo PC britannico. Altri sono frutto di
scissioni più recenti come un paio di gruppi francesi, il Partito del Lavoro
Austriaco ed il gruppo di Rizzo, sorto da una frammentazione del PdCI. Nella
lista delle adesioni all’Iniziativa compaiono anche molti partiti comunisti
nati nei paesi dell’est, ma nessuno tra quelli che godono di un seguito
elettorale e di una effettiva rappresentanza di settori significativi della
società. L’unico altro partito, oltre al KKE, che dispone di una rappresentanza
parlamentare è il Partito Socialista Lituano, il quale nelle ultime elezioni
parlamentari del 2014, ha eletto due deputati nelle liste del partito
socialdemocratico Armonia, pur senza figurare ufficialmente come partito. I due
eletti sono Arturs e Raimond Rubiks, figli del presidente del partito Alfred
Rubiks, ex parlamentare europeo non riconfermato nel 2014.
Altre iniziative europee sono di fatto defunte. Il
Forum della Nuova Sinistra Europea sembra non essersi più riunito da diversi
anni. Molti partiti che erano impegnati nel Forum sono ora attivi nel Partito
della Sinistra Europeae probabilmente considerano pleonastica ed inadeguata
questa forma di relazione. Pressoché defunta sembra essere anche la Conferenza
della Sinistra Anticapitalista Europea che raccoglieva soprattutto partiti di
orientamento trotskista. L’ultima riunione di cui si ha notizia si è tenuta a
Londra nel giugno 2011. Inizialmente a questi incontri avevano partecipato
anche partiti di diverso orientamento come il PRC, Synaspismos ed altri. Per lo
più si trattava di partiti che avevano al proprio interno correnti aderenti
alla Quarta Internazionale. In calce all’ultimo documento pubblicato compaiono
i nomi di 23 organizzazioni. Per lo più si tratta di gruppi che fanno
riferimento a tre organizzazioni trotskiste presenti in Europa: la Quarta
Internazionale, la Tendenza Socialista Internazionale, il Comitato per
un’Internazionale Operaia.
La struttura senza dubbio più attiva è il Partito
della Sinistra Europea, che riunisce regolarmente sia il Comitato esecutivo,
che il Consiglio dei Presidenti (i leaders dei vari partiti), pubblica
regolarmente documenti e prese di posizioni sugli eventi più rilevanti della
scena politica internazionale e organizza un’Università d’Estate alla quale
possono partecipare anche militanti e simpatizzanti in una logica di
funzionamento a rete, meno burocratica e verticistica delle strutture
internazionali tradizionali.
Sono stati costituiti numerosi gruppi tematici, ma
al momento sembra che solo alcuni abbiano un funzionamento reale, in
particolare quello femminista (EL-FEM). Non per tutti i partiti la
partecipazione alla Sinistra Europea è diventata patrimonio comune degli
iscritti e militanti, e non sempre le prese di posizione dell’SE, normalmente pubblicate
in inglese, vengono tradotte e diffuse in altre lingue.
Il
contesto delle scelte organizzative
Un’analisi comparativa delle scelte organizzative
dei partiti della sinistra alternativa europea deve tener conto degli elementi
di contesto. Struttura sociale e di classe, caratteri del sistema dei partiti,
, tradizioni culturali ed ideologiche sono tutti elementi che influiscono sulle
modalità di organizzazione dei partiti.
Il sistema istituzionale pesa in vari modi e in
alcuni casi favorisce processi di unificazione mentre in altri li ostacola. E’
il caso della Germania dove il sistema elettorale ed i vincoli legali hanno
favorito il permanere del ruolo dei partiti come strumenti relativamente solidi
di organizzazione della partecipazione politica. Il sistema elettorale è omogeneo
a tutti i livelli elettorali e l’accesso alla rappresentanza politica viene
incanalata dai partiti. La legge esclude che una coalizione di più partiti
possa presentarsi alle elezioni. Un problema che la PDS ha dovuto risolvere con
una formula provvisoria nelle prime elezioni nelle quali si è presentata con la
WASG, quando ancora l’unificazione non era completata, ma che avrebbe potuto
portare alla sua esclusione dalle elezioni.
In Grecia la scelta di trasformare Syriza da
coalizione a partito è stata anche favorita dalla norma secondo la quale solo i
partiti e non le coalizioni possono accedere al premio dei 50 seggi assegnati a
chi ottiene la maggioranza relativa. La possibilità concreta (poi realizzatasi
nel gennaio 2015) di diventare il primo partito del Paese e di conquistare il
Governo ha spinto all’unificazione.
Più complesso individuare i rapporti tra struttura
sociale e forma organizzativa ed anche l’influenza che hanno le specifiche
tradizioni culturali.
Si possono indicare in termini generali i seguenti
fattori: il mutamento della struttura sociale (riduzione della grande impresa
fordista, sviluppo del terziario, frammentazione e precarizzazione della forza
lavoro), cambiamenti politici (svuotamento dei parlamenti e riduzione della sovranità
nazionale, influenza dei processi di finanziarizzazione e globalizzazione,
crisi della partecipazione politica, sfiducia nei partiti), cambiamenti
culturali (crescita dell’individualismo ed espansione dei nuovi media e delle
reti sociali).
Da tutto questo non deriva però una cancellazione
dei conflitti sociali né dell’aspirazione a cambiamenti politici come anche il
quadro contrastato e contradditorio, ma tutt’altro che immobile, che si
registra a livello europeo ed internazionale sembra confermare. Certamente
rende più arduo costruire o rinnovare un’organizzazione politica adeguata a
questi mutamenti.
La crisi
del modello unico
A partire dalla formazione dell’Internazionale
Comunista e dal processo noto come “bolscevizzazione”, i partiti comunisti erano
tenuti a conformarsi ad un modello organizzativo unico. Questo modello si
basava sul riferimento al ruolo di partito di avanguardia, rappresentante della
classe operaia, al “centralismo democratico” come strumento di regolazione
della vita interna, al ruolo decisivo dell’apparato professionale, al controllo
di una rete di organizzazioni frontiste (sindacati, organizzazioni femminili,
giovanili, culturali ecc.). Questo schema è stato fortemente irrigidito
dall’affermarsi dall’egemonia stalinista sul movimento comunista
internazionale.
Nel dopoguerra e ancora di più dopo la crisi del
1956, i partiti comunisti (che rappresentavano la quasi totalità della sinistra
anticapitalista) hanno avviato percorsi diversi che si sono rispecchiati anche
nell’evoluzione dell’organizzazione interna. Per una tendenza si è continuato a
ritenere essenziale salvaguardare il carattere monolitico dell’organizzazione,
mentre per un’altra parte si è dato vita ad una forma più flessibile ed aperta di
gestione del dibattito interno con il parziale riconoscimento dell’esistenza di
diverse sensibilità, senza però pervenire all’accettazione di correnti
organizzate, ed anche nel rapporto con la società e con i movimenti (si veda il
diverso atteggiamento nei confronti del movimento studentesco del 1968 tra il PC
Italiano ed il PC francese).
L’evoluzione della sinistra alternativa in Europa,
già avviata in qualche caso prima del crollo del blocco sovietico (Spagna,
Olanda, Danimarca, Grecia) ha portato ad una differenziazione delle forme di
“strumento politico” utilizzato. Per usare una categorizzazione contenuta nelle
analisi della marxista latinoamericana Marta Harnecker (che però si riferisce
più alla base sociale che non alla forma organizzativa del partito) si possono
individuare tre tipologie fondamentali di “strumento politico”: il partito, il
partito-fronte, il fronte. Nella pratica le differenze non sono sempre così
nette, ma applicando questa differenziazione si possono comparare le diverse
realtà europee. Il Pc francese o quello greco sono indubbiamente dei partiti
(anche se il primo consente al proprio interno un’articolazione di posizioni,
mentre il secondo privilegia il monolitismo), mentre Izquierda Unida può essere
considerato un “partito-fronte”, perché unisce alcune competenze proprie del
partito (a partire dalla presenza alle elezioni e dal controllo dei gruppi di
eletti nelle varie istituzioni) al fatto di mantenere al proprio interno sia
partiti strutturati che singoli aderenti. Un esempio di fronte come coalizione di
soggetti politici è il Front de Gauche francese.
Gran parte dei soggetti organizzati in Europa
tendono ormai ad essere il frutto della convergenza di correnti
politico-ideologiche diverse all’interno di un unico “strumento politico” che a
seconda delle situazioni e delle condizioni specifiche assume forme organizzative
diverse spostandosi lungo l’asse di partito, partito-fronte o fronte.
Alcune esperienze sono nate dall’unione di partiti,
ma hanno avviato un processo che ha dato vita ad un soggetto politico molto più
ampio delle forze iniziali e questo percorso lo ha portato a trasformarsi
sempre più da fronte a partito. E’ il caso, ad esempio, del Blocco di Sinistra
portoghese e della Alleanza Rosso-verde danese. In quest’ultimo caso alcune delle
forze politiche originarie si sono sciolte mentre altre non lo hanno fatto ma,
dato che l’80-90% degli iscritti attuali hanno aderito direttamente
all’Alleanza, il permanere dei partiti originari non è più un fatto rilevante e
riguarda in sostanza la decisione degli appartenenti a quelle specifice forze
politiche.
Il carattere dello “strumento politico” nella
visione della Harnecker non è solo il frutto della valutazione critica
dell’esperienza storica dei partiti marxisti e comunisti, con il rifiuto del
monolitismo ideologico, della burocratizzazione degli apparati e dei rischi di
rapporto paternalistico-autoritario nei confronti della classe operaia e dei
movimenti sociali, che vengono denunciati come alcuni dei difetti di questi
partiti, soprattutto nell’esperienza latino-americana, ma anche come risultato
dei processi di scomposizione e ricomposizione e delle figure sociali.
L’obbiettivo è di riunificare soggetti sociali
dispersi e frantumati, per i quali non si può dare come premessa che il
processo di produzione stesso favorisca porti all’omogeneità. Vale per questo,
in una certa misura, ciò che scriveva Valerio Evangelisti, all’inizio degli
anni ’80, ricostruendo la storia del Partito Socialista Rivoluzionario
romagnolo, una delle prime forze politiche proletarie italiane, nate
dall’evoluzione dell’anarchismo:
“Dallo statuto-regolamento del P.S.R. esce
complessivamente l’immagine di un partito estremamente decentrato, ma in fondo
abbastanza solido (grazie al carattere vincolante del programma) e soprattutto
adeguato ai compiti del momento. Solo un partito aperto era infatti in grado di
raccogliere forze ancora divise e disgregate, cui era prioritario fornire scopi
precisi e una linea di condotta comune. Per di più, occorreva finalmente
coinvolgere nel progetto socialista i più ampi strati proletari, dando loro una
coscienza di classe ed addestrandoli all’associazione e all’autogestione dei
propri interessi. Non si poteva raggiungere questo obbiettivo imponendo
dall’inizio schemi troppo rigidi, ma era necessario seguire con duttilità i
moti spontanei del proletariato, accogliendone senza riserve le esigenze ed
inquadrandole in una strategia complessiva che tenesse conto delle situazioni
locali. Nasceva così un partito che era al tempo stesso un movimento, e che al primo
posto metteva l’autodeterminazione e l’intelligenza dei militanti,
sottolineando il concetto che, tra chi si batteva per una società egualitaria,
non dovevano esistere né capi, né subalterni.” (Storia del Partito Socialista
Rivoluzionario, pp. 52-53)
Mi sembra qui rilevante il richiamo del rapporto che
dovrebbe esistere fra una forma partito aperta, flessibile, quasi di
partito-movimento e la composizione sociale del soggetto che si vuole
contribuire ad organizzare. In situazioni, com’è ovvio, molto diverse, resta
l’idea che uno strumento politico che si proponga di “unire ciò che il
liberismo ha diviso”, debba essere sufficientemente aperto e flessibile da
articolare le differenze dei soggetti sociali che vuole unire
Più complesso mi sembra invece il ruolo dei capi,
come si diceva allora, o leaders. Alcune esperienze, come quella di Podemos, ci
indica che non è affatto lineare. Podemos è infatti esplicitamente una forza
politica nata dall’alto e non dal basso, anche se ha saputo cogliere l’esigenza
diffusa espressa da un movimento di massa come quello degli “indignados”. In
questo caso si può ritenere che valga l’analisi gramsciana secondo la quale è
più facile costruire un “esercito” (per metafora un partito politico) grazie ad
un nucleo ristretto ma determinato e coerente di “ufficiali” che non con una
massa di “soldati” dispersi.
La presenza di forme di coalizione politica a
sinistra pone anche problemi inediti e non sempre facili da risolvere. In una
realtà come quella italiana la sinistra potrebbe trovarsi a dover convivere almeno
per una fase con tutte e tre le tipologie sopra richiamate (partito,
partito-fronte, fronte politico). Esperienza per altro non del tutto inedita,
anche se in situazioni politiche decisamente diverse, come ad esempio il caso
recente di Israele, dove il Partito Comunista è parte di un soggetto politico
pluralista, il Fronte Democratico per l’Uguaglianza e la Pace, che a sua volta
ha dato vita ad una Lista Unitaria che raccoglie uno spettro più ampio di
forze.
Gli
iscritti e le forme di adesione
Dire organizzazione politica significa
necessariamente dire iscritti e militanti. A differenza di quanto accade per i
voti che sono facilmente accertabili, il numero degli iscritti ed ancora di più
quello degli iscritti attivi è una dato spesso difficile da calcolare. Nella
tabella seguente sono elencati i principali partiti della sinistra alternativa
europea con il numero degli iscritti, derivati da varie fonti. Sono dati da
assumere con una certa prudenza, perché si riferiscono ad anni diversi, a volte
utilizzano indicazioni ufficiali (che potrebbero essere arrotondate per
eccesso), a volte sono stime quando ci sono partiti che non forniscono dati
propri. In generale danno comunque un’idea attendibile del corpo organizzato
dei diversi partiti.
Podemos 368.000
Partito Comunista Francese 138.000 (di cui 64.000 in regola con il
pagamento)
Partito Comunista Boemo-moravo 80.000
Die Linke (Germania) 61.000
Izquierda Unida (Spagna) 71.000
Partito Comunista Portoghese 60.500
Partito Socialista (Paesi Bassi) 46.000
Sinistra Ecologia Libertà (Italia) 34.000
Syriza 30.000
KKE 30.000
Partito Comunista della Repubblica di Moldavia 30.000
Partito della Rifondazione Comunista 19.000
Partito Socialista Popolare (Danimarca) 16.500
AKEL (Cipro) 15.000
Partito di Sinistra (Svezia) 13.000
Partito Comunista d’Italia (ex PdCI) 12.600
Alleanza di sinistra (Finlandia) 10.500
Partito Socialista di Sinistra (Norvegia) 9.500
Lista Rosso-verde (Danimarca) 8.000
Sinn Fein (Irlanda) 7.000
PTB (Belgio) 6.800
Blocco di Sinistra (Portogallo) 6.700
Sinistra-Verde (Islanda) 5.800
I partiti membri e osservatori della Sinistra
Europea contano complessivamente 460-470.000 iscritti.
Si registra un problema comune a tutte le forze
politiche, comprese quelle di sinistra, che è dato dal calo delle adesioni ai
partiti come tendenza generale di tutta l’Europa. Costituisce un’evidente
eccezione lo spagnolo Podemos che ha raggiunto una cifra considerevole di
aderenti nell’arco di pochi mesi.
Va precisato che non per tutti i partiti l’adesione
ha lo stesso significato. Alcuni mantengono una forma di selezione in entrata,
per la quale occorre avere come “padrini” uno o due conoscenti già iscritti.
L’iscrizione implica poi una serie di impegni alla partecipazione all’attività
del partito che si può esprimere a diversi livelli (può essere quasi quotidiana
o più occasionale) anche se nessuno dei partiti di una qualche consistenza
della sinistra europea può essere considerato un partito di soli militanti.
Alcune forze politiche hanno previsto una doppia
forma di adesione: il membro a pieno titolo oppure il simpatizzante. Quest’ultimo
ha diritto ad essere informato dell’attività del partito e di partecipare alle
sue attività ma, normalmente, non alle votazioni nelle quali si prendono le
decisioni.
La tendenza per molti partiti è di semplificare
notevolmente le modalità di adesione, sfruttando ampiamente le possibilità
offerte da internet. In questi casi si tratta solo di riempire un formulario
con i propri dati, accettare il programma del partito e poi garantire un
sostegno finanziario che varia in modo significativo da partito a partito.
Per l’adesione alla Linke viene chiesto un
contributo in proporzione al reddito. Se si dispone di un reddito netto di
1.000-1.100 euro al mese la richiesta è di un contributo di 20 euro mensili,
preferibilmente attraverso il prelievo diretto dal conto bancario
dell’iscritto.
Il Partito Socialista olandese, incoraggia
l’adesione online, e chiede solo 20 euro di iscrizione (5 euro al trimestre).
Izquierda Unida non fissa una cifra di adesione ma con l’iscrizione si dà
diritto al partito di prelevare direttamente dal conto corrente il contributo deciso
dall’aderente.
Il Partito Comunista Francese chiede ai propri
iscritti di versare l’1% del proprio reddito e comunque non meno di 12 euro.
In Italia, SEL ha scelto di privilegiare l’adesione
online che può anche non essere collegata a nessuna realtà territoriale
specifica, né per essa viene richiesto alcun tipo di militanza attiva. Non
richiede alcun obbligo, se non quello di condividere l’articolo uno dello
statuto che definisce gli obbiettivi e le modalità di azione generali del
partito. L’iscrizione diretta ad una struttura fisica è suggerita solo come
soluzione piuttosto eccezionale per coloro che non hanno dimestichezza con il
computer o nel caso ci si voglia far seguire da qualcuno più esperto. La
tessera prevede un minimo ordinario di 24 euro annui, dimezzato per studenti,
disoccupati, pensionati.
Resta da verificare concretamente se il
trasferimento del tesseramento dal contatto personale diretto al rapporto
virtuale telematico possa essere una soluzione che consente di ampliare la
partecipazione all’attività politica in una situazione di mutamento delle
relazioni sociali oppure non si trasformi invece in una modalità che favorisce la
concentrazione del potere interno in senso oligarchico.
La
formazione delle decisioni ed il potere degli iscritti
Quanto sono democratici i partiti della sinistra? La
risposta ovviamente è tutt’altro che semplice, anche se in generale tutti, pur
avendo modalità organizzative profondamente diverse, si considerano tali.
Esiste però un dilemma che, per quanto non sempre apertamente teorizzato, si
ripresenta regolarmente del rapporto fra democrazia interna ed efficacia
dell’azione politica.
Il “centralismo democratico”, nella versione
perseguita dalla maggioranza dei partiti comunisti si proponeva come la sintesi
migliore per tenere in equilibrio i due piatti della bilancia, soprattutto
perché applicati a partiti che perseguendo un rovesciamento dell’ordine sociale
avevano a che fare con un ambiente ostile (che si trattasse degli anni del
fascismo o quelli della guerra fredda). La continua “presenza del nemico” era
una delle ragioni che veniva messa in prima piano per richiamare alla
disciplina e per mantenere rigorosamente all’interno delle proprie fila i
conflitti e i dibattiti politici. Questo tipo di meccanismo sì è rivelato
efficace soprattutto in condizioni di clandestinità e di conflitto
politico-ideologico estremo, alla lunga non si è dimostrato adeguato a
fronteggiare una società più frammentata e maggiormente pervasa da forme di
comunicazione orizzontale (nel bene e nel male).
Oggi solo pochi partiti applicano il “centralismo
democratico” così come inteso nei partiti comunisti fino agli anni ’70. Non è
sempre detto però che l’abbandono di quel modello abbia determinato
automaticamente una maggiore democrazia.
Verificare il tasso di democrazia di un partito è
operazione assai difficile ed è più facile scomporre l’analisi in alcuni
interrogativi più specifici. Ad esempio, ci si può chiedere attraverso quali processi
si manifesti il potere degli iscritti. Per rispondere a questa domanda occorre
tenere conto che spesso i processi reali non sono quelli che si riscontrano
esaminando gli statuti. Si tratta di documenti che in molti casi hanno un
valore “programmatico”, cioè attestano ciò che un partito vorrebbe essere,
piuttosto che ciò che è realmente.
Possiamo considerare come criteri per valutare le
possibilità di influenza degli iscritti: l’esistenza di referendum interni,
l’elezione diretta o meno degli organismi dirigenti ed in particolare del
leader, la scelta dei candidati alle varie scadenze elettorali.
Il referendum è stato utilizzato in modo abituale
dal Partito Comunista Francese che ha portato alla decisione degli iscritti,
tra le altre, la scelta di sostenere la candidatura di Melenchon alle elezioni
presidenziali, l’adesione al Partito della Sinistra Europea e, in occasione
delle ultime elezioni comunali, la decisione di partecipare o meno a coalizioni
di sinistra con il Partito Socialista. Mediamente a queste votazioni
partecipano attorno ai 40.000 iscritti.
Diversi partiti prevedono il referendum come
strumento di consultazione interna ma lo utilizzano molto di rado. Il Partito
Comunista Boemo-Moravo vi ha fatto ricorso per sottoporre agli iscritti la
decisione se mantenere o meno il nome di
partito comunista, con la netta prevalenza di coloro che rifiutavano un cambio
di identità politica.
L’AKEL cipriota, a metà degli anni ’90, ha
sottoposto a referendum la decisione di cambiare il proprio orientamento nei
confronti dell’Unione Europea, da quello tradizionalmente ostile dei partiti
“marxisti-leninisti” ad uno più favorevole. Scelta che vide gli iscritti a larga
maggioranza esprimersi a sostegno della svolta europeista (in parte rivista
negli ultimi tempi, a causa delle ricadute negativa per l’isola della crisi e
delle politiche di austerità imposte dalla trojka).
Il ricorso a votazioni tra gli iscritti per decidere
una scelta politica non è un fatto totalmente nuovo nella tradizione comunista.
Il partito bolscevico decise con il voto dei propri aderenti se partecipare o
meno all’elezione della Duma di San Pietroburgo qualche anno dopo il fallimento
del primo tentativo rivoluzionario del 1905. Gli iscritti si divisero in modo
significativo con 1200 voti a favore del boicottaggio e 800 contrari.
Un altro elemento interessante per valutare il
potere degli iscritti riguarda la scelta del leader del partito. Nel modello
tradizionale dei partiti comunisti, il segretario generale veniva eletto dal
Comitato centrale, a sua volta eletto (in genere all’unanimità) dal Congresso.
Storicamente l’affermazione del ruolo centrale del Segretario Generale nei
Partiti comunisti è frutto dell’affermazione di Stalin, mentre era inesistente
nel partito bolscevico di Lenin. Alcuni partiti trotskisti, per sottolineare il
loro richiamo ad un leninismo più autentico di quello staliniano, hanno evitato
di prevedere la carica di Segretario Generale. Questo non ha impedito la
personalizzazione del conflitto interno e l’identificazione di molte correnti
troskiste con una specifica personalità (per cui abbiamo “lambertisti”,
“morenisti”, “grantisti” e così via).
In diversi partiti il ruolo del Segretario Generale
è stato modificato, a partire dal nome (nel PCF è diventato “segretario
nazionale”) per sottolineare una maggiore collegialità della direzione. Per
altri partiti al vertice c’è un Coordinatore o Portavoce. Sempre nel caso del
PCF questa sforzo di collegialità si esprime anche in una diversa
valorizzazione dei dirigenti, ad esempio le relazioni ai Consigli Nazionali
(equivalente del Comitato Centrale di un tempo) sono normalmente tenute dal
dirigente responsabile di un settore di lavoro e non dal Segretario. E’
interessante notare che un partito nuovo e molto lontano dal modello comunista
come Podemos abbia scelto di usare la definizione di “segretario generale” per
il proprio leader Pablo Iglesias.
In qualche caso si è proceduto a nominare una doppia
leadership (tipicamente composta da un uomo ed una donna). Questo accade nella
Linke, dove si cerca anche di tener conto della duplice sensibilità esistente tra
gli iscritti dell’est e quelli dell’ovest (Katja Kipping e Bernd Riexinger).
Una scelta analoga aveva compiuto anche il Blocco di Sinistra portoghese (con
Joao Semedo e Catarina Martins), ma l’esperienza della doppia reggenza non è
stata valutata positivamente e l’ultimo congresso ha deciso di confermare la
sola Catarina Martins.
Rispetto alla tradizione molti partiti hanno
modificato la platea che elegge il leader. In diversi casi si è deciso di farlo
scegliere direttamente dal Congresso (o assise equivalente). Questo vale per la
Linke, ma anche per partiti più tradizionali come il Partito Comunista
Boemo-Moravo, che al congresso elegge anche i vice-presidenti e le altre
maggiori cariche.
Izquierda Unida ha utilizzato nel tempo modalità
diverse (elezione nell’organismo rappresentativo equivalente al Comitato
centrale, elezione al Congresso, votazione tra gli iscritti). Nel caso più
recente, che ha portato alla sostituzione di Cayo Lara con Alberto Garzon,
giovane economista vicino al movimento degli indignados, ha scelto la strada
della votazione aperta anche ai simpatizzanti, previa semplice iscrizione anche
on-line. Si sono iscritte complessivamente più di 80.000 persone, anche se di
fatto Garzon si è trovato senza competitori interni. La scelta della modalità
di voto (come la decisione di sostituire Cayo Lara, che pure ha svolto un
ottimo lavoro alla guida di IU) è stata indubbiamente influenzata dalla
crescita esponenziale di Podemos che raccoglie consensi anche nella
tradizionale area elettorale e militante di Izquierda Unida.
Seguendo la tradizione dei partiti comunisti, per la
maggioranza dei partiti della sinistra alternativa il leader politico è
espressione del partito e non del gruppo parlamentare che resta in funzione
subordinata. Fa eccezione il Partito Socialista olandese, nel quale il leader
principale guida il gruppo parlamentare, mentre il Segretario Generale del
partito ha prevalentemente funzioni organizzative e di coordinamento operativo.
Altro ambito nel quale valutare l’esistenza di
processi più o meno partecipativi riguarda la scelte delle candidature alle
elezioni nei vari livelli. Alcuni partiti riconoscono l’intervento diretto
degli iscritti nelle scelte dei candidati, altri li riservano in modo pressoché
esclusivo agli organismi dirigenti (a volte previa contrattazione tra le
correnti). La scelta è a volte legata al sistema elettorale ed alla eventuale
partecipazione a coalizione più ampie che impongono di tener conto degli
equilibri tra le forze che compongono l’alleanza. Sia il PCF che la Linke hanno
meccanismi di selezione ampia delle candidature. Nel caso delle elezioni
europee del 2014 un congresso della Linke ha deciso con il voto dei delegati il
posizionamento dei candidati in una lista che non prevede l’espressione di
preferenze da parte degli elettori. Chi è ai primi posti ha l’elezione
assicurata, più si scende e più calano le probabilità
Le
correnti e il pluralismo interno
Il problema delle correnti e dell’organizzazione del
pluralismo interno resta un tema difficile per i partiti della sinistra
alternativa. La caduta del blocco sovietico ha accelerato un ripensamento del
modello di partito che per altro era già in corso da tempo e che aveva già portato
ad alcuni cambiamenti. Le forze che hanno mantenuto un carattere
anticapitalista, sulla base di un bilancio più o meno critico del “socialismo
reale”, si sono poste il problema di evitare gli elementi di direzione
dall’alto che erano presenti nei partiti comunisti e quindi di consentire una
maggiore libertà di dibattito interno e soprattutto la possibilità di
rappresentare all’esterno le varie posizioni.
Ci sono partiti nei quali il dibattito si esprime
pubblicamente e può essere seguito da tutti. Ad esempio la discussione della
Linke sulla questione dell’euro, che ha visto Lafontaine schierarsi per il
superamento della moneta comune e per il ritorno ad una forma di sistema
monetario condiviso, è stata sollevata pubblicamente ed ha avuto risposte
altrettanto pubbliche, tra cui quella di uno dei due coordinatori del partito,
Bernd Riexinger.
La Linke consente la formazione di gruppi di
affinità per orientamento politico-ideologico e ne regolamenta la costituzione.
Prevede inoltre uno specifico finanziamento, nella stessa maniera in cui
sostiene economicamente i gruppi tematici. Nel corso del 2014, sulla base del
suo bilancio, la Linke ha attribuito risorse a 7 gruppi: Sinistra
anticapitalista, Sinistra emancipatrice, Forum del socialismo democratico,
Dialogo socialista, Piattaforma comunista, Piattaforma ecologista, Sinistra
socialista. Le cifre conferite sono piuttosto modeste e vanno dagli 800 ai
7.000 euro circa ciascuno. Le correnti possono raccogliere fondi ma questi
devono essere versati sul conto del partito specificando che sono destinati ad
un determinato gruppo.
Queste componenti cercano di influenzare l’esito dei
dibattiti congressuali ma non si procede per piattaforme contrapposte (come
avvenuto invece in varie occasioni nel PCF, PRC, Blocco di Sinistra, Izquierda
Unida).
Non è facile capire quanto pesino questi gruppi
sull’attività interna del partito, sembrerebbero però che esse non controllino
se non indirettamente l’elezione dei delegati ai congressi, la nomina degli
organismi dirigenti e le candidature.
Nel caso del Partito Comunista Francese le correnti
restano vietate, ma esistono aggregazione più o meno informali di tendenza. Nei
congressi si presentano piattaforme contrapposte che vengono sottoposte al voto
degli iscritti. Nella seconda fase la discussione converge solo sul documento
maggioritario, anche se resta possibile presentare emendamenti. Nella
formazione degli organismi dirigenti si sono presentate in diverse occasioni
liste concorrenti, che pesano sulla base dei voti ricevuto dai delegati
congressuali.
A parte i partiti comunisti “ortodossi” per i quali
si rileva la mancanza di dibattito pubblico, per cui le differenze d’opinione
restano chiuse negli organismi dirigenti ristretti e i congressi servono
prevalentemente per realizzare l’unanimità degli iscritti attorno alla
posizione presentata dal gruppo dirigente, ve ne sono anche altri che pongono
netti limiti a forme di organizzazione per correnti o fazioni. Tra questi il
Partito Socialista olandese che, nel 2009, ha avviato una procedura di
espulsione nei confronti dei militanti del gruppo entrista trotskista Offensief
(sezione olandese del Comitato per un’Internazionale Operaia con sede a
Londra), in quanto considerati un “partito nel partito”, e quindi in contrasto
con lo statuto. In seguito a ciò il gruppo ha dovuto abbandonare l’entrismo e
dar vita ad una propria organizzazione pubblica.
Il
rapporto con i movimenti e le organizzazioni sociali
Il tema è molto complesso e non consente più di
qualche breve accenno. Quando si parla di “movimenti” ci si riferisce spesso a
soggetti molto variegati. Il rapporto più complesso tra partiti di sinistra e
forme di organizzazione o autorganizzazione sociale andrebbe analizzato in modo
differenziato. Ci sono le organizzazioni stabili (sindacato, organizzazioni di
categoria economica, strutture sociali e culturali) i movimenti che pongono
tematiche generali (ecologismo, femminismo, altermondialismo, pacifismo) e
altri movimenti legati a conflitti specifici e localizzati. Rispetto a tutti
questi diversi tipi di movimento, i singoli partiti possono avere relazioni più
o meno forti, di internità o di conflitto.
Dal punto di vista teorico ed anche pratico i due
poli opposti del rapporto tra partito e movimenti si sono registrati in Grecia.
La vicenda che dal Synaspismos (e dallo spostamento a sinistra degli equilibri
interni al partito) ha portato alla nascita di Syriza si è intrecciata a
diverse fasi di sviluppo dei movimenti conflittuali. Il primo impulso è venuto
dal movimento di Genova contro il G8 e poi la spinta unitaria si è rafforzata
con il successo del Social Forum Europeo di Atene, nel quale soprattutto i
giovani del Synaspismos e degli altri gruppi di sinistra si sono impegnati
direttamente. Il movimento giovanile del 2008, seguito all’uccisione da parte
della polizia di un ragazzo ad Atene, ha visto il Synaspimos scegliere la
strada del sostegno politico ma senza il tentativo di imporre un ruolo di guida.
Questa idea del rapporto paritario con i movimenti sociali è diventato uno
degli elementi costitutivi della strategia di Syriza.
La scelta del KKE è stata invece all’opposto di
mantenere un totale distacco da tutti i movimenti non direttamente controllati
dal partito. Ostile sia al Social Forum che ai movimenti giovanili del 2008
mantiene un’idea completamente gerarchizzata del rapporto partito-movimenti.
All’interno di questa polarizzazione si riscontrano
molte differenze e sfumature che devono tener conto anche di realtà sociali
diverse. La Spagna è stata teatro di movimenti sociali forti rispetto ai quali
Izquierda Unida ha cercato di mantenere un’interlocuzione, anche quando ha
assunto a livello locale funzioni di governo. In Andalusia, prima delle recenti
elezioni, IU aveva deciso di partecipare ad un governo con il PSOE (scelta
contestata da una minoranza della coalizione) cercando di far passare norme che
impedissero alle banche di sfrattare i cittadini che non riuscivano più a
pagare i mutui. Il movimento contro i desahucio (gli sfratti) è uno dei più
forti in tutta la Spagna.
Il tentativo di IU di diventare il punto di
riferimento politico dei movimenti di protesta contro l’austerità, parzialmente
riuscito in una prima fase, consentendo al partito di uscire da una lunga
crisi, deve oggi fare i conti con la nascita di Podemos che si pone come
diretta espressione di quei movimenti e soprattutto del senso comune di
protesta che essi hanno generato. Il rapporto di filiazione tra Podemos e gli
indignados e gli altri movimenti di massa spagnoli non è però così diretta come
può sembrare, ma mediato da una elaborazione politica complessa che ha tenuto
conto sia delle esperienze latino-americane che del movimento 5 stelle
italiano. Podemos ha cambiato in modo significativo il rapporto della sinistra
con il populismo visto, in una certa misura, come uno strumento necessario per
conquistare un consenso di massa in una fase di frammentazione sociale.
Alcuni partiti mantengono l’idea dell’esistenza di
una rete di organizzazioni “di massa” come “cinghie di trasmissione” con la
società. Questa visione è più rigida nel caso del KKE, più flessibile
nell’esperienza del PC Portoghese e dell’AKEL cipriota. Per il PC Boemo-Moravo
il problema è l’estrema debolezza dei movimenti ed anche l’estrema difficoltà
per questo partito a costruirsi un seguito significativo tra le nuove
generazioni. Anche un partito di diversa tradizione come il Partito Socialista
olandese ha avuto per molto tempo un rapporto molto distaccato nei confronti
dei nuovi movimenti sociali ma anche dei sindacati. Ha invece preferito
costruire proprie organizzazioni di intervento nella società (ad esempio strutture
sanitarie per i quartieri popolari, gruppi di azione ambientalista, ecc). Un
atteggiamento che si è andato modificando con l’afflusso di nuovi aderenti e
con la progressiva trasformazione da una ”setta” maoista ad un partito con un
seguito di massa.
Vi sono partiti che sviluppano un rapporto di
dialogo con i movimenti ma attribuiscono una forte centralità all’azione
politica ed istituzionale, altri accompagnano questa funzione con un ruolo di
integrazione e sostegno sociale, altri ancora danno maggior rilievo alla
partecipazione a conflitti e lotte sociali anche radicali.
Gli
apparati e gli eletti
Dopo i recenti successi elettorali nell’Alleanza
Rosso-Verde danese si aperto un dibattito sul ruolo del personale politico che
si dedica all’attività del partito a tempo pieno e retribuito. Complessivamente
si tratta di circa 85 persone, tra cui 12 parlamentari, 25 assistenti, qualche
funzionario dell’apparato centrale del partito ed alcune figure con ruoli di
amministratori a tempo pieno decentrati nel territorio. La preoccupazione
espressa da alcuni è che questo incremento del personale politico professionale
(al di là dei benefici che porta con sé e che vengono comunque riconosciuti)
possa portare al prevalere di una logica istituzionale. Si formerebbe in questo
modo una “burocrazia” portatrice di propri interessi autonomi, divergenti da
quelli degli interessi sociali che dovrebbe rappresentare e tale da
condizionare in misura crescente le scelte politiche del partito.
In questo caso la preoccupazione è accentuata dal
fatto che un numero consistente di questo personale politico professionale è
legato all’attività parlamentare e quindi più strettamente al gioco delle
relazioni politico-istituzionali che hanno una influenza propria nel senso
della moderazione e dell’adattamento ai rapporti di forza esistenti.
Il tema così posto ha indubbiamente un certo fondamento,
soprattutto viene sottratto a valutazioni di tipo moralistico o a
personalizzazioni, per venire affrontato in termini generali ed in modo
sistematico. Le due proposte avanzate per evitare gli effetti negativi della
crescita del personale professionale non sono certo nuove: 1) legare in un
certa misura lo stipendio del personale politico a quello medio operaio, per
evitare quello che in Italia è stato battezzato come l’effetto della “casta”
che vive sempre più distante dai problemi e dalle condizioni materiali della
gente comune (una misura analoga è già in vigore per i parlamentari del Partito
Socialista olandese, che versano le retribuzioni e vengono poi pagati dal
partito con un stipendio equiparato a quello medio); 2) la rotazione degli
incarichi, in modo che nessun dirigente politico possa fare politica in modo
professionale per più di dieci anni .
Mentre la prima proposta mi sembra difficile da
contestare, il secondo si è sempre rivelato problematico da applicare. Il
partito che lo aveva assunto come base dei propri principi, i Grunen tedeschi,
in nome di una concezione un po’ ideologica della “democrazia di base” lo ha
poi abbandonato perché sottovalutava il ruolo che alcuni dirigenti di primo
piano svolgono per il fatto di essere riconosciuti dall’opinione pubblica, e
perché le capacità politiche dei singoli non sono equivalenti e sempre
facilmente sostituibili.
Non è facile conoscere il numero delle figure che
svolgono in modo permanente e professionale la loro attività nei vari partiti.
Il problema, com’è noto, si è assai ridimensionato in Italia per effetto
dell’esclusione di una parte delle forze di sinistra dal Parlamento e per la
decisione da parte del Governo Letta di abolire il finanziamento pubblico ai
partiti (mentre l’efficacia del 2xmille resta da verificare) che è invece
presente in gran parte dei Paesi europei.
In generale i politici professionisti dei vari
partiti rientrano in 4 categorie: i parlamentari e le altre figure
istituzionali elettive, gli apparati di supporto delle figure istituzionali, i
funzionari di partito, i funzionari di altre organizzazioni sulle quali il
partito ha un’influenza determinante (ad esempio organizzazioni sindacali o
associative). Se consideriamo i maggiori partiti di governo di diversi Paesi
europei, considerato il calo progressivo degli iscritti e dei militanti, che è
una tendenza generale, il rapporto tra politici di professione e cittadini
politicamente attivi si è quasi certamente spostato a favore dei primi.
Alcuni partiti mantengono un apparato politico
significativo (ad esempio al PC portoghese sono attribuiti circa 300
funzionari) che può equilibrare il ruolo degli eletti, evitando l’instaurarsi
di una sorta di “notabilato”, ma consente anche un forte controllo del dissenso
interno da parte della direzione politica.
L’informazione
e la comunicazione
L’utilizzo adeguato degli strumenti di informazione
e di comunicazione resta un obbiettivo perseguito da tutte le forze della
sinistra alternativa, considerato che in genere la gran parte dei media sono
tendenzialmente ostili.
Alcune forze politiche mantengono un loro
quotidiano, ma si tratta ormai di eccezioni, considerato le difficoltà enormi
che si incontrano nel competere con la stampa cosiddetta “commerciale” ed i
costi crescenti che richiede la sua pubblicazione.
Attualmente esistono in Europa i seguenti i
quotidiani comunisti e di sinistra legati a partiti :
L’Humanité (PCF)
43.500
copie vendute (2012)
Neues Deutschland (Linke) 45.000
copie vendute (2006)
Halo Novini (PC Boemo-Moravo) 30.000
copie vendute
Morning Star (PC Britannico) 14.000
copie vendute (2005)
Rizospastis (KKE) 6.500 copie vendute (2010)
Avgi (Syriza) 2.800 copie vendute (2012)
Zeitung
vum Lëtzebuerger Vollek (PC Lussemburghese) 1.000 copie vendute (2004)
Tutti i partiti hanno cercato di supplire alla
progressiva riduzione di peso della carta stampata attraverso gli strumenti
digitali. Tutti dispongono di siti web più o meno di qualità.
Il Blocco di Sinistra dispone di un sito di partito
e di un sito di informazione (esquerda.net), meno formale e più giornalistico,
utilizza alcuni canali di YouTube per i video. Fino a qualche mese pubblicava
occasionalmente un giornale gratuito che veniva messo a disposizione via
Internet. E’ presente anche su facebook, twitter e su flikr. Grosso modo queste
sono anche le modalità utilizzate da altri partiti.
Più rare sono le riviste teoriche: il Bloco ne ha
una che si intitola Virus, mentre il KKE pubblica Komounistiki Epitheorisi. I comunisti greci erano fra i pochi partiti
che possedevano una rete televisiva, ma nel settembre 2012 aveva dovuto
chiudere per difficoltà economiche. Nel marzo 2013 aveva riaperto utilizzando
un canale digitale, ma dopo pochi mesi il partito l’ha venduta ad una compagnia
privata cipriota e non è più uno strumento di comunicazione diretto od
indiretto del partito.
Nel caso di
Podemos, il rapido successo del partito ha beneficiato della presenza mediatica
di alcuni dei suoi principali leader, in particolare Pablo Iglesias. Due
trasmissioni in particolare sono state utilizzate per diffondere opinioni
critiche nei confronti dell’establishment liberista. “La Tuerka”, diffusa
inizialmente da alcune tv locali è poi stata inserita nel sito web di Publico,
un giornale che vive esclusivamente dell’attività digitale ed ha avuto un
ottimo successo. La seconda trasmissione, anch’essa animata da Iglesias,
intitolata “Fort Apache”, viene trasmesso sul canale televisivo Hispan TV, di
proprietà iraniana.
La formazione
e la ricerca
Non è facile ricostruire l’attività di formazione
svolta dai partiti della sinistra europea e rivolta principalmente ai propri
iscritti, ma in qualche caso il sito ufficiale del partito offre delle
informazioni sufficientemente esplicative dell’attività svolta in tal senso.
Il PCF dedica grande attenzione alla cosiddetta
“Università d’estate” che si svolge abitualmente alla fine di agosto di ogni
anno, in una località decentrata di montagna o dimare. Nell’arco di 3 giorni
vengono organizzati decine di incontri con intellettuali e dirigenti del
partito sui più diversi argomenti di interesse politico e sociale. Gli incontri
sono molto serrati, suddivisi in fasce orarie di un’ora e mezza. I partecipanti
devono continuamente scegliere tra 8 o 9 incontri diversi.
Vengono anche organizzati periodicamente degli
“stages di base” nei quali viene proposto un formato standard di incontri della
durata di due giornate con relazioni sulla storia e la politica del partito, il
pensiero di Marx e la crisi economica e sociale. Su tutti questi temi uno
spazio specifico del sito del partito propone i testi delle lezioni, video e
altri materiali. Alcuni riguardano indicazioni pratiche su come migliorare le
forme di comunicazione e l’organizzazione.
I comunisti spagnoli pubblicano sul loro sito una
serie di fascicoli scaricabili sulla storia del partito e sul marxismo, ma
forse il testo più originale è il “manuale di base per le agrupaciones (circoli
o sezioni del partito)” nel quale oltre a sintetizzare gli obbiettivi generali
del partito si delinea la sua organizzazione e indicazioni pratiche su come
sviluppare iniziative politiche, organizzare la partecipazione alle
manifestazioni ecc.
La Linke ha dato vita ad una commissione per la
formazione politica, organizza una Fhrulingsakademie simile all’Università
d’estate del PCF, e pubblica regolarmente materiale sul proprio sito in uno
spazio apposito. Molto spazio viene dato alla illustrazione delle ragioni della
crisi economico e finanziaria anche attraverso video. Non mancano corsi
dedicati alle attività di comunicazione rivolta alla stampa e ai social
network.
Su un diverso piano si svolge l’attività di ricerca
che viene in genera affidata a fondazioni e centri di ricerca. A livello
europeo, in collaborazione con il Partito della Sinistra Europea, sì è
costituita la Rete Transform che raccoglie la Rosa Luxemburg Stiftung,
sicuramente la più importanti per mezzi e numero di ricercatore coinvolti
(oltre 100 nella sede centrale di Berlino), Espace Marx, vicina al PCF, le
fondazione legate alla sinistra spagnola (Fondazione di Ricerca Marxista,
Fondazione per l’Europa dei Cittadini, Fondazione Alternativa) ed altre ancora.
Tra queste esiste anche una Transform Italia che, almeno a giudicare dal sito
web, non sembra particolarmente attiva.
L’obbiettivo di Transform è di aprire spazi di
confronto e di creare una dinamica favorevole all’emergere di una nuova
egemonia politica e culturale. Ha avviato due progetti principali. Uno dedicato
alle “Prospettive strategiche della Sinistra Europea” per favorire il confronto
transnazionale sulle sfide che si trovano a fronteggiare i partiti della
sinistra alternativa e l’esame approfondito dello scenario politico europeo.
L’altro progetto riguarda “La crisi in Europa, la crisi dell’Europa: ci sono
alternative!” e cerca di fornire ai vari attori sociali e politici analisi
approfondite sui caratteri multidimensionali della crisi.
La rete Transform collabora strettamente con il
Partito della Sinistra europea. Nel 2014 questa collaborazione ha prodotto, tra
l’altro la conferenza internazionale tenuta a Bruxelles per discutere soluzioni
alternative alla crisi del debito con la partecipazione economisti, politici,
attivisti della società civile. Transform e la Sinistra Europea si sono
impegnati alla preparazione di un vasto progetto definito “Forum delle
Alternative”.
Tra le attività di Transform vi è anche la creazione
di un Akademia Network che si rivolge soprattutto al mondo intellettuale,
universitario e scientifico per alimentare un sapere critico che finora si è
articolato in tre gruppi aventi per tema l’economia politica, la storia
europea, la scienza e la democrazia. Transform è intenzionato a convocare un
meeting annuale della rete Akademia.
Il
finanziamento
In quasi tutti i Paesi europei esiste una forma di
finanziamento pubblico dei partiti. In alcuni Paesi al finanziamento diretto a
fini politici, si aggiunge anche un finanziamento rivolto all’attività di
strutture di ricerca. Il caso più tipico è quello tedesco che consente
l’attività di importanti fondazioni legate ai partiti presenti in parlamento
(tra cui la Rosa Luxemburg Stiftung legata alla Linke).
In Germania, nel 2014, la Linke ha ottenuto 9,6
milioni di euro di finanziamento statale sulla base di un calcolo che tiene
conto dei voti ottenuti, ma anche dei contributi diretti che riceve dai propri
iscritti e della quota versata dai parlamentari e le donazioni. Il bilancio
complessivo è di 12 milioni e quindi la quota che deriva dallo Stato incide in
misura decisiva.
Izquierda Unida ha una disponibilità di fondi molto
minore. Secondo il bilancio 2014 i suoi introiti sono di poco inferiori ai 4
milioni di euro. Di questi 2,5 milioni derivano dal contributo statale mentre
le quote per le adesioni portano circa 350.000 euro. Ben più ricco il bilancio
del Partito Comunista Francese, il quale nel 2011 ha avuto ricavi per quasi 31
milioni di euro. In questo caso il contributo statale incide decisamente meno,
ammontando a 3,6 milioni di euro. Significativa la quota delle iscrizioni che
ammonta più di 3 milioni di euro. La voce di gran lunga più consistente
riguarda però i contributi degli eletti che ammontano ad oltre 14 milioni di
euro.
Anche in Grecia, il sostengo pubblico ai partiti
politici è molto consistente. Nel solo 2009 il Partito Comunista Greco ha
ricevuto quasi 9 milioni di euro.
Un’esperienza interessante per la sua novità è
sicuramente quello di Podemos, il quale ha sostenuto la campagna elettorale per
le elezioni europee del 2014 con un bilancio molto limitato. Alla fine del 2014
aveva introitato poco meno di un milione di euro, dei quali solo 100.000 circa
come rimborso statale delle spese elettorali. Due elementi particolari vanno
segnalati, il primo consiste nell’utilizzazione del crowdfunding come strumento
specifico di raccolta di fondi. Non si tratta di una normale generica raccolta
di donazioni ma di una sollecitazione finalizzato ad una particolare spesa. In
questo modo la donazione è strettamente legata ad un uso specifico. Il secondo
elemento riguarda il notevole sforzo di trasparenza sull’arrivo dei fondi e sul
loro utilizzo. Sul sito è possibile vedere in dettaglio le singole donazione
degli europarlamentari via via che vengono effettuate, le altre donazioni
(spesso anonime perché effettuate con paypal) ma anche il dettaglio delle
spese. Ad esempio è elencato tutto il personale pagato per l’attività del
partito e le ragioni del suo utilizzo. Per tutti i dirigenti del partito viene
riportata la dichiarazione dei beni posseduti e delle attività lavorative e
politiche svolte in precedenza o in corso.
Conclusioni
La letteratura esistente sui partiti della sinistra
alternativa consente per ora solo una prima riflessione sulle forme
organizzative, dalla quale per carenza di informazioni mancano temi importanti
(come quello relativo alla presenza ed al peso femminile nei partiti o alle
forme di mutualismo). Sul primo punto vi sono partiti, prevalentemente nel nord
Europa nel quale la presenza femminile a tutti i livelli è da tempo massiccia,
mentre nel sud Europa spesso si è ancora in presenza di partiti monosessuati.
Sul mutualismo il seminario organizzato da Rifondazione comunista l’ 11 aprile
prossimo potrà consentire un significativo confronto di esperienze.
Volendo trarre una sintetica e provvisoria
conclusione da quanto fin qui esposto si può sottolineare che le forze della
sinistra alternativa non dispongono più di un modello di riferimento e questo
ha l’effetto positivo di costringere a ripensare le forme organizzative a
partire dalle esperienze pratiche piuttosto che da schemi ideologici. D’altra
parte finora l’elaborazione ed anche il confronto delle pratiche e delle
esperienze a livello europeo su questo terreno è stato insufficiente e richiede
sicuramente uno sforzo maggiore di confronto ed anche di elaborazione teorica.
Il consolidamento di strutture sovranazionali come la Sinistra Europea o
Transform può offrire utili opportunità in tal senso ma anche il fatto che la
sinistra alternativa sta compiendo esperienze importanti e ricche di
insegnamenti nel vivo della lotta politica e sociale e non più ai margini.
Per la sinistra italiana esiste l’opportunità di
evitare due errori abbastanza frequenti: restare rinchiusa, in modo un po’
provinciale, nelle proprie dispute o al contrario, ma in fondo è solo l’altra
faccia dello stesso difetto, farsi cogliere da improvvisi innamoramenti per
questa o quella forza politica di successo in qualche altro Paese, senza
compiere lo sforzo indispensabile di studio e di riflessione che consenta di
assorbirne gli insegnamenti più proficui.
Franco
Ferrari
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