La sinistra alternativa di derivazione
comunista e marxista o nata dai movimenti di ribellione degli anni ’60,
sembrava destinata a scomparire dopo la caduta del Muro di Berlino e
l’ammainarsi della bandiera rossa sul Cremlino. Gli anni ’90 erano caratterizzati
da una consolidata egemonia neoliberista e la stessa socialdemocrazia accettava
di muoversi all’interno di quel paradigma (il nuovo centro di Blair e
Schroeder). Partita finita quindi? Solo pochi nostalgici destinati alla
marginalità sembravano volersi opporre testardamente quanto inutilmente alle
sorti – non proprio progressive a dire il vero – promesse dal neoliberismo all’umanità.
Invece, con l’inizio del nuovo millennio la
partita si è riaperta. In questa nuova partita sono emersi anche tutta una
serie di fenomeni negativi ed inquietanti come il crescere del radicalismo
populista di destra o il riemergere dell’integralismo religioso posto a base di
una nuova teorizzazione della politica come esercizio assoluto della violenza, e
così via.
Ma, a fianco di tutto questo vi sono stati
e vi sono una serie di scenari positivi che hanno visto l’affermarsi di nuove
forze politiche di sinistra alternativa che si collocano a sinistra di una
socialdemocrazia sempre più moderata e subalterna. Paradosso o vendetta della
storia, è toccato a D’Alema, in qualità di presidente dei centri studi
collegati ai partiti socialdemocratici, presiedere un convegno internazionale,
pochi mesi or sono, nel quale si discuteva del profilo e dell’influenza di
queste forze politiche di sinistra radicale. E di quale atteggiamento la
socialdemocrazia avrebbe dovuto o potuto tenere nei loro confronti.
A queste nuove o rinnovate forze politiche
è dedicato il bel libro di Marco Damiani, giovane ricercatore dell’Università di
Perugia (“La sinistra radicale in Europa. Italia, Spagna, Francia, Germania”)
pubblicato da Donzelli. Un testo che unisce il rigore scientifico alla
leggibilità che lo rende utile anche al lettore non accademico, che sia
semplicemente curioso o militante in cerca di risposte. A livello
internazionale, solo negli ultimi anni sono aumentate le ricerche dedicate alla
sinistra “radicale” o “alternativa” e in Italia finora non si trovava
praticamente nulla. In proposito, Damiani spiega con precisione come esistano svariate
definizioni possibili di questa “famiglia” politica e le ragioni per le quali egli
utilizzi in particolare quelle di “sinistra radicale” o di “partiti di nuova
sinistra”.
Il testo si propone di comparare le
esperienze di alcune formazioni (PRC, PCF e Front de Gauche, Linke, Izquierda
Unida e Podemos) sulla base di una selezione dei 5 maggiori paesi europei per
demografia. La Gran Bretagna manca all’appello perché priva di una forza
politica significativa in quest’area, ma forse la comparazione si sarebbe
arricchita anche di una serie di fallimenti ai quali è andata incontro la
sinistra radicale britannica in questi decenni.
I partiti di sinistra radicale vengono
distinti non solo dai partiti della socialdemocrazia ma anche dai partiti
dell’estrema sinistra che vengono considerati appartenenti ad una diversa area
politica, e tra questi ultimi viene collocato il Partito Comunista Greco (che
in ogni caso sarebbe ricaduto fuori dai casi di studio selezionati) ma anche il
Nuovo Partito Anticapitalista francese di Olivier Besancenot (di derivazione
trotskista).
Una parte importante del lavoro di Damiani
è dedicata a ricostruire i travagli, le difficoltà ed anche i successi della
“sinistra radicale” nei quattro paesi considerati. Sono storie, come ben
sappiamo noi in Italia, di divisioni, di molte divisioni. Ma mentre in alcuni
paesi si è riusciti, sulla spinta dei movimenti sociali, come in Spagna, o dei
vincoli istituzionali, come in Germania, a costruire soggetti unitari. In altri
l’unità è stata assai più difficile. Lo si vede in Francia con i problemi
irrisolti del Front de Gauche ed in Italia con l’impossibilità di consolidare
l’esperienza, pur parzialmente di successo perché inserita in un ciclo di
fallimenti, della aggregazione dell’Altra Europa.
La ricostruzione sintetica ma
ricca di spunti e di valutazioni acute operata dall’autore (sulla quale qui non
vi è spazio sufficiente per dilungarsi) può consentirci di inquadrare le
irrisolte difficoltà dell’esperienza italiana in un quadro più ampio, meno
provinciale e meno di conventicola. In Italia – è la mia impressione - siamo
provinciali non tanto perché parliamo solo di noi stessi, ma anche perché
rincorriamo spesso l’esperienza straniera di successo del momento, prendendola
a modello, senza averla indagata e contestualizzata. E per dimenticarcene e
passare ad un’altra appena la precedente incontra delle difficoltà che le fanno
perdere l’aura del mito. E’ quindi decisamente utile un testo che consente, se
lo si vuole, porre la discussione su una base più solida di fatti,
ricostruzioni ed analisi.
La seconda parte del testo di Damiani
utilizza in modo più specifico il metodo comparativo per mettere a confronto
diversi aspetti della vita e degli orientamenti politici dei quattro casi
soggetti a studio. Si tratta delle forme organizzative e del modello di
costruzione del soggetto politico (sulle quali tanto spesso ci siamo rotti la
testa in Italia e – mi pare - non abbiamo ancora intenzione di smettere), del
ruolo del peso degli iscritti, dei valori, dell’evoluzione elettorale, ecc.
Segnalo, fra altri, alcuni dei temi affrontati e che mi sembrano di particolare
interesse:
1) i riferimenti alle diverse esperienze di governo compiute dai
partiti della sinistra radicale in alleanza con la socialdemocrazia dalle quali
emerge un bilancio complessivamente negativo ed una serie di sconfitte;
2) il
riferimento al concetto di “immaginario sociale” che sostituisce quello di
“ideologia”, per indicare che oggi queste forze sono necessariamente plurali,
non solo perché contengono forze comuniste, socialiste, ecologiste, ecc, ma
perché non possono più aspirare all’idea di costruire una comune concezione del
mondo tale da far convergere attorno ad essa grandi masse, come avveniva in
alcuni partiti comunisti del novecento,
3) il rapporto con la socialdemocrazia,
che interessa particolarmente all’autore, per capire se possa essere
prevedibile la ricostruzione di uno schieramento unitario di sinistra con
possibilità di governo. Questo tema è affrontato soprattutto attraverso una
serie di interviste a dirigenti dei diversi partiti interessati e si può dire
che da essi emerga il rifiuto di ripetere esperienze di alleanza subalterna e
di scarsa incisività.
L’ultima parte del libro è dedicata ad
esaminare le strutture sovranazionali alle quali partecipano i partiti della
“sinistra radicale”: il gruppo parlamentare europeo (GUE/NGL) e il Partito
della sinistra europea (SE). Una sintesi interessante ma che, forse, nella
parte relativa all’SE, attribuisce eccessivo credito all’italo-centrismo della
ricostruzione di Gennaro Migliore, dalla quale pure emergono informazioni
finora inedite sul complesso processo che fu alla base della sua formazione.
Forse si sarebbe guadagnato un punto di vista più obbiettivo incrociandola con
ricostruzioni pubblicate da dirigenti di altri partiti promotori come quella di
Helmut Ettinger (della Linke) o di Pedro Marset (di Izquierda unida). Si
sarebbe evitato anche di dare troppo credito alla tesi dello stesso Migliore
(ora approdato al sottogovernismo renziano) secondo il quale la Sinistra Europea sarebbe praticamente morta
in coincidenza con l’ uscita dello stesso da Rifondazione Comunista. Ma si
tratta di un limite tutto sommato marginale in un testo che conta molti pregi.
Meriterebbe una discussione più ampia, che
cercheremo di sviluppare in altra sede, il riferimento teorico di Damiani ad un
concetto classico del politologo di chiara fama, Giovanni Sartori, sui cosiddetti
“partiti anti-sistema”. Secondo l’autore, i partiti della “sinistra radicale”
non possono essere più considerati “anti-sistema” in quanto non mettono in
discussione il sistema democratico di tipo liberale. Intesa in questo senso la
definizione di partiti “pro-sistema” può essere accettata. Ma se si definisce
diversamente ciò che si intende per “sistema” e lo si individua – con
un’impostazione più marxista - come “formazione economico-sociale”, quindi come
capitalismo nella fase neoliberista, i partiti della sinistra radicale restano
in buona misura “anti-sistema”.
Continuano infatti ad aspirare ad una
trasformazione sociale complessiva, anche se spesso indicando in modo vago il
contenuto e le forme processuali di questa aspirazione.
Si può aggiungere, per paradosso, che nel
momento in cui le forze della sinistra radicale sono diventate “pro-sistema”,
ovvero difendono certi principi democratici, anche di impronta liberale, è lo
stesso capitalismo che tende a diventare “anti-sistema”, nel senso di Sartori.
Si potrebbero fare molti esempio, ne basti uno. Il Fondo Monetario
Internazionale, organismo extra-democratico si sente in dovere di intervenire
sul referendum costituzionale in Italia, mentre nessun governo democratico che
lo voglia (e sono comunque rari) riesce a scalfire la tetragonia neoliberista
dello stesso FMI.
Il libro di Damiani sollecita quindi, su
questo come su molti altri punti una discussione utile e produttiva, ed è in
fondo un segno della validità scientifica della ricerca compiuta che, sulla
base dello stesso materiale fornito, si possa arrivare a conclusioni teoriche
diverse da quelle dell’autore stesso.
Franco Ferrari
Questa recensione è stata pubblicata sul sito di Rifondazione comunista.
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