domenica 13 ottobre 2013

Congresso di Rifondazione Comunista (II): i "terzini" rilanciano l'unità dei comunisti

Il terzo documento sottoposto al voto del congresso del PRC non aveva adesioni sufficienti all'interno del Comitato politico nazionale per essere presentato formalmente alla discussione. Ha dovuto pertanto raccogliere un numero di firme di iscritti superiore ai 500. Alla fine ha ricevuto 850 adesioni e quindi diventa ufficialmente un documento congressuale con il numero 3.

I principali esponenti della tendenza che ha dato vita a questo documento (Targetti e Rancati) erano già firmatari dell'analogo terzo documento presentato al congresso di Chianciano. La filiazione è rintracciabile anche nel titolo e nell'impostazione di fondo, pur con diversi aggiornamenti. A Chianciano veniva proposto di "Rifondare un partito comunista per rilanciare la sinistra, l'opposizione e il conflitto sociale". Questa volta il titolo è: "Per la Rifondazione di un Partito Comunista".

La sostituzione della formula "rifondazione comunista" con quella di "rifondazione di un partito comunista" non è evidentemente casuale anche se risulterà bizantina a chi non sia interno ai linguaggio delle varie correnti e tendenze di ispirazione comunista. Detto in modo schematico: chi sostiene la "rifondazione comunista" punta l'accento sul rinnovamento profondo reso necessario dal crollo del "socialismo" reale", mentre la seconda formula risulta decisamente più continuista, in quanto assume implicitamente che esista un modello di partito comunista tutt'ora valido e che si tratti di rifondarlo. Nel primo caso la rifondazione comunista definisce una qualità del partito, la seconda rimanda solo ad un processo politico e organizzativo che finirà nel momento in cui il partito sarà "rifondato" o come si dice in alternativa nel testo del documento "ricostruito".

Cercando di focalizzare l'attenzione sulla parte propositiva piuttosto che sugli elementi di analisi del documento, per ragioni di brevità occorre richiamare un capoverso chiave del testo. Per realizzare l'obbiettivo indicato  è necessario "rilanciare una forte iniziativa, un vero e proprio movimento per rifondare/ricostruire un partito comunista, degno di questo nome, quale indispensabile strumento politico-organizzativo, nel vivo dello scontro di classe, insieme ai movimenti anti-austerity e in alternativa a tutti i poli della governabilità nel nostro paese". La formula "partito comunista, degno di questo nome" è abbastanza vaga da consentire di essere interpretata in modi diversi ma sufficientemente allusiva da rimandare ad una concezione più "ortodossa" (in senso ideologico, non storico) di partito comunista. Né, a dire il vero, il documento nel suo complesso, pur elencando proposte più o meno condivisibili, chiarisce realmente quale partito abbiano in testa i promotori del documento.

Sicuramente per creare questo nuovo/vecchio "partito comunista" il PRC, anche se applicasse la richiesta svolta politica ed il relativo cambio dei dirigenti, non può essere considerato autosufficiente. Il documento propone "un percorso credibile di ricomposizione dei comunisti ovunque collocati". Questo percorso è così raffigurato: "senza scioglimenti improvvisati e scorciatoie politiciste, ma avendo il coraggio di dialogare con tutte le componenti del movimento comunista che vanno nella stessa direzione, verificando nel comune lavoro e confronto politico un percorso che ha bisogno per questo di organizzazione, radicamento sociale e di concreta iniziativa nella realtà". Per l'unità dei comunisti vengono segnalati due nodi: "la rottura della subalternità al centrosinistra e delle compatibilità col capitale finanziario europeo".

Non c'è nel documento alcuna analisi delle ragioni politiche che hanno portato in questi anni alla frammentazione delle forze che fino a metà degli anni '90 si trovavano all'interno del PRC. La componente che sostiene il terzo documento e che già a Chianciano, come ricordato, aveva sostenuto la "rifondazione di un partito comunista" e quella dell'unità dei comunisti, negli anni successivi è esplosa in molteplici direzioni. I principali firmatari del terzo documento di Chianciano sono oggi in almeno 4 partiti differenti (PRC, PdCI, gruppi di Rizzo e di Verruggio) e quelli rimasti all'interno del PRC si collocano in almeno tre aree diverse. Questa diaspora, superiore di quella di ogni altra componente, rivela sia problemi di metodo che di strategia e dovrebbe sollecitare una riflessione autocritica che è invece completamente assente nel documento di Targetti e Rancati.

E' evidente che i sostenitori del terzo documento a Chianciano volevano sì rifondare un "partito comunista", ma ognuno aveva in mente un partito diverso.  E' uno dei rischi che si corrono quando si utilizzano formule astratte, enfatiche sul piano della retorica, ma poco precise nel merito dei contenuti. Alcune indicazioni contenute nel documento, pur interessanti, restano allo stato di dichiarazioni generiche. Quando si pone l'obbiettivo del radicamento del partito si aggiunge: "eventualmente elaborando opportune ed inedite forme organizzative", senza ulteriori elaborazioni su queste forme "inedite". E questo vle anche per altri passaggi.

Per quanto riguarda l'organizzazione interna del "nuovo" partito si afferma che "la tutela del pluralismo interno e della dialettica ad ogni livello, che rappresenta un basilare diritto democratico alle logiche del maggioritario, non ha niente da spartire con la degenerazione correntizia". Sicuramente il tema è importante ma il documento non riesce, a mio parere, a formulare una proposta concreta che risolva il dilemma, anzi la volontà di presentare comunque un terzo documento va in direzione opposta all'obbiettivo che si pone. Si ha l'impressione che quando si denuncia il  "correntismo degenerato" si pensi sempre a quello degli altri.

Il terzo documento propone inoltre di costruire "uno schieramento anticapitalista ampio e plurale, un polo di opposizione politica e sociale che, sulla base di una piattaforma e di pratiche sociali comuni, impegni i diversi soggetti, senza precostituite velleità da 'partito unico' in un processo di reale indipendenza ed alternatività al bipartitismo". Non serve , si aggiunge, "inventare un ennesimo soggetto politico finalizzato a superare lo sbarramento elettorale, né serve unire delle debolezze senza chiarezza politica". Questo "schieramento" o "polo" viene contrapposto alla costruzione di una generica "sinistra alternativa". Lo "schieramento anticapitalista" qui proposto non sembra meno generico della "sinistra alternativa" di cui parla la maggioranza di Rifondazione, ma sicuramente più ristretto nell'arco degli interlocutori individuati.

Sulla questione delle alleanze politiche del PRC si rivendica la necessità di essere "alternativi al centrosinistra" anche se non bisogna "rinunciare ad agire sulle contraddizioni sempre più forti che si aprono tra le politiche del centrosinistra e dello stesso PD sul suo elettorato". Da questo discende la necessità di "rompere le alleanze politico-istituzionali col PD e col centrosinistra anche a livello locale laddove siano incompatibili con la possibilità di praticare un programma alternativo". In questo caso il "laddove" lascia aperto uno spazio per non rendere automatica ed inevitabile la rottura a livello locale.

Per quanto riguarda l'Europa, tema che ha una particolare rilevanza nel dibattito politico in questa fase, si chiede la "messa in discussione dell'Euro", in nome del ritorno alla sovranità popolare che non può esistere senza sovranità monetaria ed economica e l'abolizione dei trattati dell'Unione Europea. Il documento cerca di radicalizzare la posizione del documento di maggioranza, ma senza arrivare a formulare seccamente la rottura con l'euro e l'Unione Europea. Al Partito di Sinistra Europea vengono rivolte alcune critiche marginali ed è implicita la preferenza per un rapporto con i partiti comunisti più tradizionali, che interviene però in un momento nel quale si è determinata tra questi partiti, solo poche settimane una pubblica spaccatura che vede da un lato il PC greco e dall'altro il PC portoghese .

Franco Ferrari

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro compagno,

ti ringrazio per l’attenzione data al nostro documento, sono uno dei sottoscrittori e, in parte piccolissima, degli estensori, vorrei provare a dare una risposta mia personale ad alcune tue critiche.

Siamo consapevoli che proporre di superare la divisione in correnti presentando un documento congressuale contrapposto alla “maggioranza” del Partito abbia degli elementi di contraddizione. D'altra parte, siamo stati “costretti” a usare questo metodo da un regolamento congressuale che ingessa il confronto su tesi ed emendamenti, restringendo il campo alla conta tra ferreriani e grassiani. Inoltre, il metodo con cui il documento è stato scritto e sottoscritto dimostra che non siamo un’area precostituita, da quando è stato avviato il percorso congressuale abbiamo cominciato a confrontarci trovandoci in sintonia sulla critica e autocritica dell’azione del Partito e sulle proposte per il rilancio, ma non abbiamo scritto il documento “a priori”, abbiamo atteso le conclusioni della commissione politica e il regolamento. Che il lavoro sia stato svolto in maniera collettiva e negli ultimi giorni disponibili è dimostrato anche da alcune ineleganze formali. Se proprio si deve arrivare ai documenti contrapposti, per noi è così che si dovrebbe lavorare, non per obbedienza a un capo-corrente ma per condivisione di percorsi politici.

Riguardo le cause della frammentazione, mi sembra siano implicite nella tesi sulla riorganizzare del Partito: la mancanza di un indirizzo teorico di riferimento, la mancanza di un’analisi del capitalismo contemporaneo e delle classi, un’organizzazione fragile retta spesso da compagni che ci mettono tanto cuore ma senza una direziona precisa. Ultimi, si aggiungono gli errori soggettivi nella costruzione della Federazione e di Rivoluzione Civile. Non essendo però il documento “di Targetti e Rancati” (io, per esempio, non ho mai fatto riferimento a loro), noi puntiamo a (auto)criticare le scelte fatte da tutti noi come PRC.

Sulle proposte organizzative non chiudiamo a nessuna proposta (realmente) innovativa, ma mi sembra che sia chiara la nostra idea di Partito strutturato nei luoghi di lavoro e nei territori, in cui le strutture di base devono imparare a conoscere la realtà attorno a se, aumentare il numero di compagni iscritti, formare i nuovi quadri, elaborare proposta politica e anche azione vertenziale. Mi sembra una differenza non di poco conto rispetto agli attuali circoli che alternano momenti di lavoro ventre a terra per le campagne nazionali (spesso poco sentite) e momenti d’inattività totale.

Sull’unità dei comunisti e delle sinistre, proponiamo un programma minimo. Non facciamo nomi dei soggetti cui è rivolta la proposta perché il punto non è “ci stanno più simpatici Landini-Rodotà o Cremaschi-Ross@”, il punto è, da un lato, chi è disposto a ragionare e agire su quel programma e dall’altro lato, se noi siamo in grado di presentarci al di fuori con un programma e non con il cappello in mano chiedendo che almeno ci lascino tenere le bandiere a favore di telecamera.

Sull’attività internazionale, l’allontanamento delle posizioni tra KKE e PCP era noto da tempo, non a caso noi vogliamo rilanciare l’attività in quei contesti internazionali che favoriscono l’unità del movimento comunista.