mercoledì 8 gennaio 2014

La crisi mediorientale nella riunione dei PC

Il materiale disponibile relativo alla riunione di Lisbona dei Partiti Comunisti svoltasi nel novembre scorso offre spunti interessanti di analisi sui vari aspetti della crisi mediorientale. Molti i temi sui quali si può aprire una riflessione sulle posizioni che le forze di orientamento comunista dei Paesi dell'area vengono sviluppando.
All'incontro erano presenti 11 partiti mediorientali: il PADS algerino (scissione marxista-leninista dell'ex Partito dell'Avanguardia Socialista), la Tribuna Democratica Progressista  del Bahrein (emanazione legale del Fronte Nazionale di Liberazione), il Partito Comunista Egiziano, il Partito Tudeh dell'Iran, il Partito Comunista Iracheno, il Partito Comunista Israeliano, il Partito Comunista Libanese, il Partito del Popolo Palestinese (ex Partito Comunista), il Partito Comunista Palestinese (piccola scissione stalinista del precedente), il Partito Comunista Siriano (fazione della famiglia Bagdache), Partito Comunista Sudanese. 
Dall'incontro sono emerse alcune risoluzioni due delle quali di carattere generale. La "Risoluzione sulla Regione Araba" è stata presentata da 6 partiti mediorientali (Egiziano, Libanese, Sudanese, Iracheno, Partito del Popolo Palestinese, DPT del Bahrein). Si sono aggiunte le adesioni del Tudeh e del PC Giordano, quest'ultimo non presente a Lisbona. Non è stata sottoscritta da israeliani, siriani, algerini e PC Palestinese.
La Risoluzione definisce il Medio oriente come il principale bersaglio della "nuova offensiva delle forze imperialiste", guidate dagli Stati Uniti e poggianti sulla NATO, che stanno cercando realizzare il loro vecchio piano quello del "nuovo Medio Oriente". L'obbiettivo di questo piano, secondo la risoluzione, è di minare l'idea dello stato nazionale e di "trasformare il mondo arabo in un gruppo di staterelli dipendenti che si combattono su basi religiose, settarie ed etniche" al fine di consentire al capitalismo mondiale di "ottenere il controllo delle risorse naturali della regione, specialmente gas e petrolio".
Al fine di controbattere a questo "piano distruttivo" i Partiti Comunisti ritengono indispensabile "sostenere le rivolte e le rivoluzioni dei popoli arabi, specialmente le rivoluzioni in Egitto e in Tunisia, nel rovesciare regimi dittatoriali e dispotici". I promotori sostengono anche il rovesciamento dei Fratelli Musulmani e dei gruppi a loro alleati, sostenuti da Qatar, Arabia Saudita e Turchia con la "benedizione" di Stati Uniti e Unione Europea.
Ritengono centrale la questione palestinese e confermano il sostegno al popolo palestinese nella lotta contro le politiche sioniste di aggressione, costruzione di insediamenti ed espulsioni dei palestinesi dalle loro terre. Viene confermato il sostegno al diritto palestinese a costituire uno stato nazionale con Gerusalemme capitale.
I Partiti firmatari della risoluzione esprimono la loro solidarietà verso le lotte dei popoli di Sudan, Bahrein e Kuwait contro regimi dispotici, degli iracheni contro il settarismo religioso e il terrorismo, dei libanesi contro l'aggressione israeliana; respingono l'interferenza dell'imperialismo e della reazione araba negli affari interni del popolo siriano. 
Una seconda risoluzione esprime la solidarietà dei partiti firmatari (52 sui 75 presenti a Lisbona) alle "lotte dei popoli del Medio Oriente per la pace, la democrazia ed il progresso". Fra i partiti mediorientali, il testo è sottoscritto da 9 partiti (Bahrein, Egitto, Iran, Iraq, Israele, Libano, Partito del Popolo Palestinese, Sudan, Siria). L'obbiettivo della risoluzione è di denunciare in modo molto deciso il ruolo "delle forze reazionarie dell'Islam politico". Nel Medio Oriente diverse correnti dell'Islam politico hanno utilizzato la crisi economica e la crescente povertà per guadagnare una "posizione politica dominante e sopprimere completamente le forse progressiste...particolarmente i comunisti".
I firmatari del documento "considerano che le forze dell'Islam politico, dai Talebani in Afghanistan al regime teocratico in Iran, al Partito dello Sviluppo e della Giustizia in Turchia, alla Fratellanza Musulmana in Egitto, al governo islamico in Sudan, stanno fondamentalmente agendo contro gli interessi del movimento operaio" e sono dell'idea che al di là di certe varianti tra le forze che rappresentano l'Islam politico, le principali caratteristiche delle loro politiche, siano il disprezzo della democrazia e la disattesa di una reale giustizia sociale." 
Il documento denuncia USA e Unione Europea perché aiuterebbero il rafforzamento dell'islam politico nella regione per minare il desiderio popolare di un genuino cambiamento democratico e per creare le condizioni di un intervento militare diretto e indiretto nella zona.
Non è possibile riprendere per esteso gli interventi dei diversi partiti, ma si può segnalare qualche spunto del dibattito che arricchisce l'analisi contenuta nei due documenti e in qualche caso vede la formulazione di giudizi controversi.
Per quando riguarda i movimenti popolari delle cosiddette (in Occidente) "primavere arabe", secondo Salam Ali del PC Iracheno non sono il frutto di "cospirazioni esterne". Essi sono "dettati dal desiderio e dalla volontà dei popoli di mettere fine a molteplici sofferenze e tragedie e di riconquistare il controllo sulle loro enormi risorse naturali saccheggiate da regimi dispotici, che rappresentano strati burocratici e parassitari in alleanza con i monopoli capitalistici". Il processo è però pieno di contraddizioni, la situazione non tornerà a prima del gennaio 2011, ma la strada per la "masse popolari" è ancora lunga e in contrasto con quelle forze , soprattutto religiose, che vogliono usurpare i frutti delle lotte compiute.
Salah Adli, segretario generale del PC Egiziano, ha confermato il giudizio pienamente positivo verso la "seconda rivoluzione" egiziana che ha portato alla deposizione della "destra fascista religiosa guidata dai Fratelli Musulmani". La "rivoluzione popolare del 30 giugno, è considerata la seconda ondata, più profonda e matura della rivoluzione del 25 gennaio 2011". L'esercito si è schierato con le manifestazioni popolari pacifiche per dare seguito alla volontà del popolo e salvare il paese dalla guerra civile. I comunisti, pur mantenendo alcune riserve sulla "Mappa del Futuro" sulla quale si è avuta una convergenza delle forze nazionali per il periodo transitorio dopo il 30 giugno, ritengono che essa vada realizzata. Il governo transitorio è considerato un "governo tecnocratico riformista" che non ha abbastanza coraggio nel perseguire gli obbiettivi della rivoluzione in questa fase.
Altro punto nodale nella valutazione dell'azione delle forze "islamiste" riguarda l'Iran. Il Tudeh denuncia che "il regime teocratico ha trasformato il paese in una prigione per i democratici e per tutti coloro che chiedono il cambiamento e si è dimostrato incapace di offrire qualsiasi soluzione attuabile per i problemi economici, sociali e politici" dell'Iran.. I comunisti non hanno molta fiducia nel nuovo Presidente Hassan Rouhani che definiscono un "autoproclamato moderato e un fidato difensore del regime teocratico", il cui principale obbiettivo è di far rimuovere le sanzioni e normalizzare le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. 
La principale contraddizione in Iran, secondo il rappresentante del Tudeh, è quella tra il popolo e le potenti oligarchie politiche ed economiche che sono custodi di una economia altamente lucrativa, ingiusta e corrotta.
Per quanto riguarda il ruolo delle varie potenze in Medio oriente, non molto spazio è stato dato ad un'analisi più articolata. La vice Segretaria generale del PC Libanese, Marie Nassif-Debs, nota il nuovo atteggiamento degli Stati Uniti verso l'Iran, con l'apertura di canali di dialogo e con la resistenza opposta agli appelli israeliani per un'aggressione contro questo paese. Ad esso si è accompagnato un cambiamento della posizione americana verso il regime siriano, espressosi nel rifiuto di portare avanti un'aggressione militare e nella rapida soluzione della questione dell'uso delle armi chimiche. 
La dirigente comunista libanese collega alcuni cambiamenti intervenuti ad un'ipotesi di ridefinizione delle sfere di influenza tra USA e Russia in Medio Oriente. In generale i comunisti libanesi non sembrano vedere effetti positivi nel confronto tra le vecchie potenze imperialiste e le nuove potenze capitaliste emergenti. Secondo la Nassif-Debs "la presenza di certi paesi 'socialisti' come la Cina (e si noti che la parola socialista è messa tra virgolette al fine di prendere le distanze da questa definizione, NDR), ed altri paesi antimperialisti, come il Brasile, all'interno del polo emergente e la presenza dei BRICS non si ritiene possa cambiare in modo significativo la situazione. Questo principalmente perché il mondo bipolare nel quale viviamo oggi è molto differente da quello esistente dopo la seconda guerra mondiale" quando l'Unione Sovietica giocava un ruolo cruciale nel confronto con l'imperialismo.
Questa valutazione è resa ancora più radicale, e probabilmente non del tutto condivisa da altri, nell'intervento del rappresentante comunista algerino per il quale "non bisogna ingannarsi sulle vere ragioni dei disaccordi che oppongono, sulla Siria, gli USA, la Francia, la Gran Bretagna da un lato e la Russia, la Cina dall'altro.(...) Le divergenze tra i membri del consiglio di sicurezza esprimono la lotta per preservare le rispettive zone d'influenza". 

Franco Ferrari

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