mercoledì 3 dicembre 2014

Moldavia: come trasformare i perdenti in vincitori

Igor Dodon, ex comunista, leader del Partito Socialista
Moldavo, filo-russo
Le elezioni moldave del 30 novembre scorso si sono concluse con un apparente successo dei partiti favorevoli alla Commissione Europea e all'Accordo di Associazione con l'UE, firmato pochi mesi prima della scadenza elettorale. Ai tre partiti della destra pro-UE (Partito Liberal- Democratico, Partito Democratico, Partito Liberale) sono andati 56 seggi su 101, sufficienti almeno sulla carta per insediare un nuovo governo di coalizione analogo a quello che ha retto la Moldavia negli ultimi 5 anni. In percentuali ai tre partiti è andato il 45% dei voti.

Se si analizza l'esito elettorale in maggior dettaglio si vede però che questa "vittoria" è più apparente che reale e soprattutto ottenuta con una serie di discutibili manipolazioni del quadro elettorale. Innanzi tutto va registrato che i tre partiti pro-Commissione avevano ottenuto il 52% dei voti nel 2010. Nonostante l'intensa attività a loro sostegno messa in atto dalla Commissione Europea e da alcuni degli Stati membri dell'Unione, in particolare dalla Romania, dove risorgono frequentemente mire tese a riassorbire la Moldavia dentro una "Grande Romania", malgrado l'avversità a questa ipotesi della stragrande maggioranza della popolazione moldava, i tre partiti di destra hanno subito un netto calo del consenso.

Il partito più punito dagli elettori, tra quelli della maggioranza uscente, è stato il Partito Liberal-democratico, considerato il più disciplinato ed organizzato in Parlamento, che è sceso dal 29 al 20% ed ha perso 9 seggi. Solo una parte degli elettori che hanno abbandonato il PLD si sono riversati sul Partito Democratico che guadagna 3 punti percentuali grazie ai quali conquista 4 seggi in più, mentre il Partito Liberale, pur in calo di qualche decimale ottiene un seggio in più.

Oltre ai tre partiti di destra entrano in parlamento due forze politiche di sinistra: il Partito Socialista ed il Partito Comunista. I socialisti, che disponevano di soli tre deputati nel parlamento uscente, transfughi di altre forze politiche tra le quali il Partito Comunista, sono balzati al primo posto, seppure per poche migliaia di voti, avvicinandosi al 21% e conquistando 25 seggi. Il Partito Socialista ha fatto apertamente campagna contro l'avvicinamento all'Unione Europea e per l'adesione all'Unione Doganale promossa dalla Russia. Per testimoniare visivamente le sue posizione filo-russe ha pubblicato in campagna elettorale dei grandi manifesti che riproducevano la foto dell'incontro tra i loro leader e Putin.

I comunisti da parte loro vengono nettamente ridimensionati scendendo dal 39 a meno del 18%. I loro seggi risultano dimezzati passando da 42 a 21. Sono diverse le ragioni di questa sconfitta elettorale, inaspettata sulla base dei sondaggi dei mesi scorsi. Il Partito Comunista gode ancora della popolarità del suo leader Vladimir Voronin, che è stato Presidente della Repubblica, ma che comincia a risentire dell'età avanzata. A non avere pagato elettoralmente sembra essere la posizione tenuta dai comunisti sulla questione dei rapporti della Moldavia con l'UE e la Russia. Il PCRM è stato critico dell'Accordo con l'Unione Europea ma non ha rigettato completamente la possibilità di sviluppare rapporti con l'UE purché questi siano riconsiderati per renderli più favorevoli ai moldavi e non danneggino i rapporti con la Russia e la possibilità di aderire all'Unione Doganale. 

La posizione dei comunisti sembra ragionevole se si vuole evitare alla Moldavia una spaccatura verticale del Paese, ma in presenza di una polarizzazione fra filo-UE e filo-russi, è risultata troppo moderata ed incerta. A questi problemi di strategia politica si sono aggiunti negli ultimi tempi le divisioni interne e le fuoriuscite di esponenti di primo piano verso altri partiti, in primo luogo il Partito Socialista. 

Un altro problema con il quale si è scontrato il Partito Comunista è stata la presenza di una lista civetta, il "Partito Comunista Riformista". Tutti gli analisti politici lo hanno considerato solo un progetto il cui obbiettivo era togliere voti al Partito Comunista, inducendo gli elettori in confusione, grazie ad un simbolo molto simile ed anche all'utilizzo della stessa sigla. In questo caso la parola "riformista" non ha un particolare significato ideologico, quanto di poter mantenere la stessa R che nella sigla del Partito Comunista "vero" sta per Repubblica. La lista comunista di disturbo ha ottenuto il 5% dei voti, insufficienti per superare la soglia di sbarramento del 6%, ma utile a disperdere un numero significativo di voti di sinistra. Un'altra lista favorevole all'adesione all'Unione Doganale , anche se in questo caso non nata per una mera operazione di disturbo, ha ottenuto più del 3%. 

In questo modo si vede come le liste filo-russe o comunque favorevoli ad un rapporto equilibrato fra i due "blocchi" eguaglino o sopravanzino i tre partiti pro-UE. Gli ultimi sondaggi citati da fonti occidentali confermano che il numero dei moldavi favorevoli all'Unione doganale con la Russia è maggiore di quello che sostiene l'adesione all'Unione Europea.

La rappresentante della politica estera della Commissione Europea, Federica Mogherini, insieme al collega Commissario per le politiche di allargamento dell'Unione, ha salutato la tenuta delle elezioni moldave riprendendo, senza ulteriori commenti, il giudizio espresso dalla delegazione OSCE secondo la quale le elezioni sono state caratterizzate da "un'ampia scelta di politiche alternative e sono state generalmente ben amministrate, anche se la de-registrazione di un contendente elettorale poco prima del giorno delle elezioni solleva interrogativi sulla tempistica e le circostanze".

In effetti pochi giorni prima del voto è stato escluso il partito "Patria", considerato filo-russo e che nei sondaggi veniva dato al 10-12%. Nato da pochi mesi per iniziativa di un imprenditore con interessi in Russia, il partito Patria aveva soprattutto puntato sulla polemica nei confronti dei partiti della maggioranza uscente per la corruzione e il malgoverno, raccogliendo per questo motivo significativi consensi. Questo partito è stato accusato di aver ricevuto fondi dall'estero. La decisione è stata presa nel giro di pochissimo giorni alla vigilia del voto, togliendo dalla competizione una forza che avrebbe potuto mettere in minoranza la destra pro-UE.

Altro elemento che ha alterato la competizione ed il risultato, è segnalato dallo stesso rapporto della delegazione OSCE ed ha riguardato il già citato "Partito Comunista Riformista" che si presentava con logo e sigla del tutto simili a quello del Partito Comunista della Repubblica di Moldova. Nonostante il PCRM abbia ottenuto una decisione favorevole al proprio ricorso da parte del tribunale, il Ministero dell'Interno non ha proceduto a de-registrare questo partito, come avrebbe dovuto fare, e quindi la Commissione Elettorale lo ha lasciato sulla scheda consentendo la dispersione di quasi 80.000 voti.

Inoltre il governo uscente ha favorito il voto del moldavi emigrati in Europa ma ha reso molto difficile il voto dei quasi 300.000 che lavorano in Russia, consegnando solo 15.000 schede e riducendo al minimo i seggi elettorali. Considerato che il primo partito ha ottenuto 326.000 voti si buon ben capire come questo comportamento possa aver inciso sul risultato finale.

Oltre a questi aspetti, segnalati, ma molto sottovoce, dalla delegazione OSCE, non sono mancate altre azioni del governo, quali l'oscuramento delle Tv russe e la soppressione di diverse ONG perché anch'esse considerate favorevoli all'Unione Doganale con la Russia. E' del tutto evidente che se questi stessi comportamenti fossero stati messi in atti da governi considerati non "amici" dalla Commissione Europea, avrebbero suscitato un'aperta condanna e non certo l'omertoso silenzio della Mogherini e dei governi europei.

Ora l'auspicio è utilizzando una maggioranza parlamentare ottenuta con una serie di manipolazioni e trucchi non si forzi ulteriormente un allineamento all'UE che non ha il consenso della maggioranza dei moldavi, aprendo la strada ad un'altra crisi come quella in atto nella confinante Ucraina che ha già prodotto migliaia di morti.

Franco Ferrari

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