venerdì 27 novembre 2015

Hillary Clinton e l'ISIS

Si incontra sempre più spesso, in articoli che esaminano la crisi mediorientale, la citazione di una dichiarazione di Hillary Clinton, ex Segretario di Stato USA ed ora candidata democratica alle prossime elezioni presidenziali: «l’Isis è una nostra creatura che ci è sfuggita di mano». Certo una simile affermazione illumina, senza costringere a perdere troppo tempo nella faticosa lettura di ricerche, analisi storiche e sociologiche e documenti, lo scenario mediorientale e consente di costruirvi sopra una comprensibilissima spiegazione degli eventi. 

Il guaio è che questa affermazione non esiste. Non risulta da nessuna parte che la Clinton abbia mai detto nulla del genere. Ci siano due interventi che in genere vengono portati a prova di questa fantomatica citazione. Il primo è una lunga intervista rilasciata da Hilary Clinton alla rivista americana The Atlantic nell’agosto del 2014, nella quale delinea la sua visione di politica estera. Dai temi affrontati emerge con evidenza che la candidata presidenziale democratica si colloca a destra di Obama, proponendo una prospettiva che, senza cadere nell’aggressività ideologica dei neoconservatori e dei cosiddetti “teo-con” (reazionari orientati da una abbondante dose di integralismo religioso) al potere al tempo di Bush e responsabili del disastro iracheno, risulta decisamente più interventista e militarista di quella dell’attuale Presidente.



Sull’ISIS, la Clinton esprime una tesi molto precisa ed ovviamente contestabile che è la seguente: se gli Stati Uniti avessero sostenuto con molta più decisione l’opposizione siriana ad Assad nella prima fase della guerra civile (e si intende con armi, finanziamenti e addestramento militare) non si sarebbe determinato quel vuoto nel quale ha potuto crescere e prendere piede lo Stato Islamico. Siamo quindi molto lontani dal dichiarare che “l’ISIS è una nostra creatura che ci è sfuggita di mano”.



La seconda fonte è un video, mostrato anche da Crozza (ormai i comici hanno sostituito gli “intellettuali organici” di un tempo), nel quale la Clinton, con indubbia franchezza, ricorda quanto avvenne in Afghanistan negli anni ’80. In quel periodo gli Stati Uniti finanziarono e sostennero l’opposizione islamica in funzione anti-sovietica per poi trovarsi successivamente a dover combattere quelle stesse forze alle quali si erano alleati. Il video è una estrapolazione di un discorso più ampio ed evidentemente risalente a qualche anno fa e quindi viene tolto dal contesto e non consente di capire esattamente qual è l’obbiettivo del discorso della Clinton. 



Nel caso del video apparentemente non c’è manipolazione, ma in realtà nei sottotitoli un riferimento all’ISI, che nel contesto è evidentemente l’Inter-Service Intelligence (ISI), ovvero la CIA pakistana, viene tradotto come Stato Islamico. Non saprei dire se si tratta di una deliberata falsificazione o di un effetto dell’ignoranza del traduttore, ma il risultato non cambia.



Ora si dirà, “qual è il problema?”, al di là delle citazione taroccate o manipolate, la sostanza non cambia, l’ISIS è comunque stato “creato” dagli Stati Uniti. Penso invece che il problema ci sia e che riguardi sia il metodo con il quale conduciamo le nostre analisi e dalle quali dovremmo poi far discendere la nostra proposta politica, sia il merito, ovvero l’idea che attraverso queste pseudo-citazioni viene espressa sulle ragioni della crisi mediorientale.



Dal punto di vista del metodo, credo che dovremmo darci strumenti collettivi, oggi largamente assenti, per comprendere situazioni complesse e far comprendere ad uno strato più largo di opinione pubblica che si interroga sugli avvenimenti, ciò che accade nella realtà mediorientale. Non si può fondare un’azione politica che contrasti il militarismo, il razzismo, la xenofobia, le politiche imperiali, il terrorismo ed i rigurgiti di forze clericali e reazionarie, somministrando analisi manichee, semplicistiche e consolatorie fondate sul taglia e cuci di patacche informative che circolano in grande quantità su internet.



Nel merito dovremmo poter ragionare su alcuni punti che qui posso solo citare in forma di interrogativi: 1) possiamo interpretare la crisi mediorientale esclusivamente secondo una logica “campista” e bipolare (imperialismo/antimperialismo) come se ci fosse ancora l’Unione Sovietica come fanno alcune forze comuniste o di sinistra? 2) gli Stati Uniti sono il deus ex-machina che controlla tutto quello che succede in Medio Oriente (dall’ISIS alle cosiddette “primavere arabe”) o siamo invece in presenza di una crisi di egemonia della massima potenza imperiale dopo il fallimento della guerra e del dopo-guerra in Iraq? 3) I conflitti ed i problemi del Medio Oriente sono tutti sovraordinati dall’azione delle potenze esterne (USA, Occidente) o dalla politica di Israele, o sono in misura rilevante anche il frutto di crisi e contraddizioni interne politiche, ideologiche, religiose, economiche e sociali? 4) La crescita di molteplici movimenti islamici radicali con forti basi di massa, a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran, sono il frutto di spinte interne o solo il prodotto delle “barbe finte” della CIA e dei soldi dell’Arabia Saudita? 5) Le politiche neoliberiste dominanti a livello mondiale hanno avuto un impatto sui processi disgregativi in atto in quei Paesi e non solo in Europa o in America Latina?



Cominciare a dare qualche risposta a questi interrogativi, confrontandosi anche con le varie forze che in Medio Oriente  vivono sulla loro pelle i molteplici conflitti in corso e cercano di delineare una via d’uscita progressista, socialmente e politicamente più avanzata, potrebbe dare maggiore respiro anche alla nostra iniziativa politica.

Franco Ferrari


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