lunedì 18 agosto 2014

L'intervento di Di Battista: qualche ragione e qualche trappola

Combattenti curdi mobilitati contro l'ISIS
L'intervento dell'esponente grillino Alessandro Di Battista ha suscitato molti commenti e polemiche. Strumentale, mi pare, l'aver estrapolato la parte sulle ragioni che stanno alla base del terrorismo, presentandola come una sua giustificazione in toto. L'establishment politico-mediatico tenta di identificare abitualmente la critica alle politiche occidentali con il terrorismo, oppure quelle ad Israele con l'antisemitismo per impedire un dibattito serio sulle questioni mediorientali.

Dibattito che peraltro è presente e vivace negli Stati Uniti e nei maggiori paesi occidentali dove si confrontano apertamente opzioni diverse, forse con l'unico limite del tabù esistente nella possibilità di criticare pubblicamente la politica israeliana.


La povertà del dibattito italiano che vede le maggiori forze politiche normalmente schierate in una posizione subalterna agli Stati Uniti e alle maggiori potenze, fatta salva la ricerca di qualche piccolo spazio per operazioni opportunistiche e di piccolo cabotaggio per difendere qualche interesse economico nazionale, è direttamente proporzionale alla ininfluenza che scontiamo nelle scelte di politica internazionale.

Lo si è verificato anche nella preparazione della discussione del Consiglio dei ministri europei che aveva all'ordine del giorno l'inasprimento delle sanzioni nei confronti della Russia, la consultazione, come ha riferito il New York Times, è avvenuta tra britannici, francesi e tedeschi. Una volta raggiunto l'accordo tra loro, gli altri, Italia compresa, che pure rivendica per se il ruolo di "ministro degli esteri europeo", si sono accodati.

Commenti ci sono stati anche a sinistra, in genere più favorevoli. Se non altro, e questo va riconosciuto, Di Battista rompe con l'oltranzismo atlantista dei vertici del governo e dello Stato. Denuncia, con qualche semplificazione nella ricostruzione storica, le responsabilità degli Stati Uniti nelle diverse crisi mediorientali. Invita, complessivamente, ad un ripensamento delle politiche dell'Italia e dell'Unione Europea, e questa è una impostazione che ve accolta con favore così come alcune delle sue proposte di merito. 

Ci sono invece diversi punti che vanno discussi o respinti con molta nettezza perché sono inconciliabili con idee progressiste.

Innanzitutto sul terrorismo. Di Battista commette un errore nell'analisi, accettando di fatto il punto di vista del pensiero dominante su che cosa sia terrorismo. E' indubbio che in molti conflitti armati si sia determinata una situazione di forte dissimmetria tra la potenza tecnologica degli stati più forti (in primo luogo gli Stati Uniti) e i soggetti armati che si scontrano con loro. Lo si è visto chiaramente a Gaza, tra Israele e Hamas. Questa dissimmetria contribuisce alla decisione del soggetto armato più debole di ricorrere anche al terrorismo per superare il proprio svantaggio sul terreno.
Ma il ricorso al terrorismo, che va comunque distinto dall'azione militare in generale, non è solo una reazione ad una condizione politica o sociale. Quando è utilizzato da un soggetto organizzato è una scelta politica. Pertanto deve essere valutato come tale, rispondendo ,situazione per situazione, ad alcune domande: E' eticamente accettabile il ricorso a quelle specifiche forme di azione militare?, E' utile al raggiungimento dell'obbiettivo? Il soggetto che ricorre al terrorismo è legittimato a farlo e da chi? Ci sono altre forme di lotta migliori che riducono o azzerano la necessità della violenza? L'obbiettivo perseguito è giusto? Non esiste il "terrorista" indeterminato. Boko Haram o l'ISIS, non sono Hamas o Hezbollah, e questi non sono la stessa cosa del PKK curdo ad esempio.

E' un errore di giustificazionismo sociologico quello in cui cade Di Battista quando collega la morte per denutrizione dei bambini africani alle azioni di Boko Haram. Questo è un gruppo che agisce sulla base di un'ideologia reazionaria e commette spesso azioni ripugnanti che non hanno nessuna derivazione dalla condizione dei bambini, né alcuna utilità per il miglioramento delle loro condizioni. Le vittime di questa organizzazione sono tutti neri africani, non certo colonialisti bianchi.

Lo stesso vale per l'ISIS in Siria e Iraq. Alcune delle operazioni militari di questo gruppo sono frutto di un'ideologia reazionaria non della reazione alle politiche americane. In Siria combattono un regime ostile agli Stati Uniti e spesso si sono scontrati con altri gruppi dell'opposizione militare a Saddam, compresi quelli di tendenza islamista. L'aggressione portata alle componenti irachene di altra etnia o di altra religione (cristiani, yazidi, curdi, sciiti) va giudicata come frutto di una scelta politico-ideologica estremista ed in quanto tali inaccettabili.
 
L'ISIS è un nemico di tutte le forze progressiste e democratiche che operano in Medio oriente. Questa posizione contrasta con tutte le tentazione "campiste" (ovvero di dividere il mondo semplicisticamente in due campi, uno sempre buono e l'altro sempre cattivo) per cui se gli Stati Uniti intervengono contro l'ISIS, l'ISIS diventa buono . Anche se nello schema mentale dei "campisti" e dei "complottisti", che siano di destra, di sinistra o "nè di destra né di sinistra", per evitare di mettere l'ISIS nel campo buono, basta dire che è stato creato dalla CIA, per ributtarlo nell'altro campo. Ma è lo schema in se che non regge ad una serie di conflitti che non sono più riconducibile ad uno schema bipolare.
C'è una parte condivisibile del ragionamento di Di Battista (il richiamo a cercare di capire le ragioni di un fenomeno terroristico), che si accompagna però ad una debolezza (accettare la categoria indistinta del terrorismo) e ad un errore (confondere le ragioni che possono alimentare il terrorismo con gli obbiettivi politici dell'organizzazione che utilizza il terrorismo). Con Hamas si deve discutere anche se non se ne condivide l'impostazione ideologica e politica, l'ISIS va combattuto fino alla sua sconfitta.
Ma l'errore più grave Di Battista lo commette laddove prefigura la messa in discussione degli Stati esistenti perché caratterizzati da una pluralità etnica. Nel suo articolo sembra  per altro confondere grossolanamente differenze etniche e differenze religiose. L'ISIS ha una base sunnita (ma è una caratterizzazione religiosa non etnica). I curdi sono anch'essi sunniti, quindi hanno la stessa caratterizzazione religiosa ma non etnica dell'ISIS. Gli Yazidi sono considerati etnicamente curdi, ma con una millenaria religione non musulmana. E d'altra parte l'ISIS non ha affatto l'obbiettivo di mettere in discussione gli stati nazionali disegnati dalle potenze imperiali su una base etnica come pretende Di Battista, ma di costruire uno stato integralista religioso, fortemente reazionario e di imporlo anche a minoranze etniche che non lo vogliono.

in ogni caso l'idea che il mondo sia destinato sempre più a dividersi su basi etniche è interamente reazionaria e mi pare del tutto inaccettabile a sinistra. Altra è la questione più complessa dello Stato-nazione e del suo ruolo in relazione ai processi di internazionalizzazione del capitale. Altro ancora valutare specifiche situazioni dove esiste una rivendicazione di indipendenza che può avere una ragione storica (ad es empio i curdi) ma sostenere la tendenza verso stati etnicamente puri ha una connotazione razzista. 

L'idea della ridefinizione etnica degli Stati, oltre ad aprire una lunga stagione di conflitti, non contrasta nemmeno con le politiche del blocco occidentale, perché questo decide sulla base dei propri specifici interessi se sostenere l'unità di uno Stato plurale o spingere per la sua disintegrazione su basi etniche. Nel primo caso abbiamo l'Ucraina, nel secondo abbiamo avuto la Jugoslavia o, per fare un esempio più recente, la nascita del Sud Sudan.

Questo mi sembra il nucleo strategico ed ideologico centrale a cui porta il discorso di Di Battista ed anche se ci sono elementi condivisibili e positivi nel suo intervento, è importante anche chiarire le differenze che esistono tra le sue posizioni e quelle che, a mio parere, deve difendere la sinistra.

Franco Ferrari

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