lunedì 18 aprile 2016

13 milioni di sì, un patrimonio da coltivare con cura


Il dato immediato dell'esito del referendum del 17 aprile (cosiddetto delle "trivelle") è il mancato raggiungimento del quorum. Ci sono però altre riflessioni, più complesse, che vengono sollecitate dal voto.


L'esito in sé tiene conto del carattere limitato ed in parte simbolico del merito specifico del quesito proposto. In quanto tale non permetteva facilmente di assicurare l'alto livello di mobilitazione popolare necessario per garantirne il successo. Il referendum sull'acqua pubblica, per sua natura di ben più vasto e diretto interesse dei cittadini, aveva portato alle urne oltre 27 milioni di italiani. Un dato che va confrontato con i 35 milioni di elettori delle ultime elezioni politiche e con i 29 milioni delle europee del 2014.


Considerate queste premesse occorre valutare con attenzione la portata degli oltre 13 milioni di sì che si sono espressi nel voto di domenica scorsa. Per valutare appieno il significato di quel dato in termini assoluti, è bene ricordare che l'intera coalizione di centro-sinistra nelle elezioni del 2013 raccolse 10 milioni di voti, con una partecipazione elettorale molto più alta. Si tratta quindi di un patrimonio di voti non trascurabile, ma al quale manca ancora un adeguato strumento politico.

Se guardiamo al contenuto del sì al referendum esso esprime, pur espressione di livelli diversi di consapevolezza politica, esso afferma due principi importanti. Nessuno dei quali può essere considerato "rivoluzionario", ma entrambi inquadrabili dentro una concezione progressista e democratica, quindi avanzata, dell'Italia e del suo futuro.

Il primo principio è quello a suo tempo inserito nella Costituzione all'art. 41: "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali." Sul tema del referendum un'interesse economico privato entrava in contrasto con un'utilità sociale. Se per Renzi l'iniziativa privata non deve avere limiti (come dimostra non solo il tema trivelle ma anche il jobs act e tante altre scelte politiche) per molti italiani invece ci sono situazioni nel quale l'interesse comune deve prevalere. La politica e la democrazia sono gli strumenti attraverso i quali questa utilità sociale deve affermarsi come prioritaria.

Il secondo punto generale nel quale il voto di 13 milioni di elettori ha dimostrato di essere in contrasto netto con la visione dell'attuale Governo, riguarda il modello di sviluppo. Se questo debba continuare a basarsi su modalità inquinanti e quindi oggettivamente retrive di sviluppo economico (retrive come gran parte delle classi dominanti di cui Renzi è la fedele e ossequiosa espressione) o debba invece aprirsi all'innovazione tecnologica e culturale, alla partecipazione democratica dei territori, ecc. così come viene richiesto dalla crisi ecologica radicale e planetaria nella quale ci troviamo immersi.

Per questi motivi non sottovaluterei il significato politico del voto espresso da 13 milioni di italiani. La preoccupazione maggiore è che  siamo ancora lontanissimi dal costruire una "forza" politica (di massa, plurale, unitaria e radicale) che articoli questi principi in un progetto ed una strategia di cambiamento radicale del Paese.

Porrei anche l'attenzione al significato che questo referendum esprime per il campo a noi avverso. Non è stata una prova di forza di Renzi. La forza non va confusa con l'arroganza che spesso ne è solo il surrogato. Se Renzi fosse stato convinto del consenso dell'elettorato per le sue posizioni avrebbe fatto campagna per il no e avrebbe mobilitato in tale direzione il proprio blocco sociale unendolo a quello che, a destra, è tradizionalmente più sensibile agli interessi dell'impresa privata e del capitale.

Per un partito di governo che si proclama maggioritario, salvarsi in corner buttando la palla fuori campo, contando sull'astensionismo, è un segno di difficoltà. Queste esprimono una condizione più generale ed indicano che le politiche liberiste non hanno di per sé il consenso della maggioranza degli italiani e per questo vengono avvolte in una cortina fumogena di operazioni populiste, ma di scarso respiro.

Altro elemento che va considerato è il fatto che il referendum è nato soprattutto dall'interno del Partito Democratico con l'impegno diretto di alcune regioni (Puglia in primo luogo). L'atteggiamento sprezzante di Renzi e dei suoi reggicoda ha aperto un'ulteriore contraddizione con una parte del tradizionale blocco sociale sul quale si reggeva l'ormai defunto centro-sinistra e che il PD sta smantellando colpo su colpo.

Tutto questo ci segnala che siamo in una situazione aperta a diversi sviluppi ma che esiste uno spazio importante all'iniziativa politica e sociale delle forze che si battono per l'alternativa.

Franco Ferrari




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