sabato 17 settembre 2011

La Danimarca svolta a sinistra

Le elezioni parlamentari in Danimarca, tenutesi pochi giorni fa, hanno segnato un'importante svolta politica, mettendo fine a dieci anni  di governo della destra e aprendo la strada ad una nuova coalizione di forze progressiste, tra le quali due partiti che si collocano a sinistra della socialdemocrazia.

Vediamo innanzitutto i dati. I quattro partiti di quella che viene definita come l'Alleanza Rossa, ovvero Socialdemocratici, Sinistra radicale, Socialisti popolari e Alleanza Rosso-Verde hanno ottenuto 89 seggi, con il 50,2% dei voti, contro gli 86 seggi assegnati ai quattro partiti della destra, l'Alleanza Blue, di cui fanno parte due partiti liberali, i Conservatori e il Partito del Popolo, di orientamento xenofobo. La sinistra potrà disporre di una maggioranza parlamentare un po' più agevole grazie all'apporto di almeno 3 parlamentari su 4 eletti nelle isole Far Oer e in Groenlandia (dove si conferma il grande successo dello Inuit Ataqatigiit, la sinistra alternativa eschimese, col 42,7%).

Il risultato era previsto dai sondaggi, i quali delineavano però un successo più netto delle forze di sinistra; resta comunque il fatto politico rilevante della fine della prevalenza della destra e della volontà di cambiamento espressa dagli elettori danesi. Al di là dei rapporti di forza fra i due schieramenti è importante sottolineare anche quanto emerge dal voto all'interno del centro-sinistra.

La socialdemocrazia non riesce a riconquistare il ruolo di primo partito politico del paese, che rimane nelle mani dei liberali del primo ministro uscente Rasmussen, e perde un seggio. Il principale alleato è il Partito Socialista Popolare, sorto alla fine degli anni '50 dalla scissione di una tendenza "revisionista" del Partito Comunista, che ha poi di fatto largamente soppiantato come punto di riferimento dell'elettorato critico della socialdemocrazia sul piano sociale e della politica estera, ed in particolare dell'inserimento della Danimarca nell'Unione Europea. I Socialisti popolari sembravano destinati fino a qualche tempo fa ad una forte ascesa elettorale, con i sondaggi che li proiettavano al 20% rispetto al 14% delle elezioni del 2007. Il risultato è stato invece un forte arretramento che ha portato il partito a scendere sotto il 10% e a perdere 7 seggi. E' probabile che su questo dato abbia pesato l'impressione di un eccessivo appiattimento sulla socialdemocrazia.

La vittoria del centro-sinistra è dovuta quindi non ai partiti che certamente costituiranno la futura coalizione di governo (socialdemocratici e socialisti popolari entrambi in calo) ma dai due partiti che si collocano ai margini della coalizione. Sul versante più moderato è il Radikale Venstre, un partito che rappresenta l'anima più progressista e aperta dello schieramento borghese, e che storicamente si è schierato con la socialdemocrazia. Questo partito, che guadagna 8 seggi, è fortemente ostile al populismo xenofobo del Partito del Popolo, ma ha posizioni economiche liberali e quindi potrebbe rappresentare un limite alla possibilità di imprimere un effettivo cambiamento nella politica economica danese, che già subisce i condizionamenti dell'Unione europea e del capitalismo finanziario internazionale.

L'altro vincitore indiscusso delle elezioni è il partito che raccoglie la sinistra alternativa, nonché membro a pieno titolo del Partito della Sinistra Europea, l'Alleanza Rosso-verde (o Lista Unitaria, Enhedslisten, come recita il suo nome ufficiale). L'Alleanza è nata alla fine degli anni '80 dalla convergenza di diversi piccoli partiti dell'estrema sinistra danese, in particolare il Partito Comunista e il Partito Socialista di Sinistra, che non avevano più la forza, singolarmente, di superare la soglia del 2% richiesta per entrare in parlamento. L'Alleanza si è dimostrata una iniziativa di relativo successo, riuscendo nel tempo a fondere le diverse appartenenze di provenienza, senza peraltro richiedere ai partiti promotori un atto di scioglimento formale. Ormai la gran parte degli iscritti all'Alleanza, circa 5.000, non proviene dai partiti originari.

L'Alleanza Rosso-verde ha ottenuto il 6,7%, contro il 2,2% delle precedenti elezioni, e il suo gruppo parlamentare passa da 4 a 12. Il partito è diretto da un organismo collettivo, ma la sua portavoce, la giovanissima (27 anni) Johanne Schmidt-Nielsen ha acquistato immediatamente una grande popolarità e ha dimostrato di saper svolgere il proprio ruolo con grande abilità e determinazione. Gli aneddoti riportati dalla stampa danese riferiscono che al primo dibattito televisivo tra leader dei partiti al quale si presentò, il rappresentante di un'altra forza politica, scambiandola per una assistente di studio, le chiese di portarle un caffé.

Nelle elezioni del 2007 l'Alleanza aveva attraversato una grave crisi, che la portò, col 2,2% a rischiare l'esclusione dal parlamento. La decisione di presentare una giovane donna musulmana velata, in sé coraggiosa, si rivelò controproducente, non tanto per la reazione di quella parte di elettorato influenzato dal clima xenofobo, che comunque non avrebbe votato l'Alleanza, quanto per l'allarme di una parte di suoi elettori per quella che sembrava una messa in discussione del principio della laicità e della separazione tra spazio pubblico e convinzioni religiose causata dall'aperta rivendicazione religiosa della candidata musulmana.

L'Alleanza, come ha già fatto in precedenti occasioni appoggerà dall'esterno il governo garantendogli una maggioranza, ma stavolta indubbiamente il positivo esito elettorale le consegna una maggiore responsabilità, e come si è già visto in diverse esperienze di altri paesi, la partecipazione al governo o ad una maggioranza da parte di forze della sinistra alternativa, nelle condizioni di crisi economica e di forte condizionamento esterno alle politiche nazionali attualmente esistenti, apre contraddizioni non facili da gestire.

Le elezioni danesi hanno avuto ovviamente al centro la crisi economica che ha colpito anche la Danimarca. Il centro-sinistra propone una politica di investimenti e di spese sociali che possano essere sostenute senza peggiorare la situazione del bilancio pubblico, bilancio che dopo essere stato addirittura in attivo è ora in deficit del 3,8%, dato superiore alla soglia prevista dall'impostazione monetarista dell'Unione Europea. Nelle elezioni del 2007 era stato soprattutto il tema dell'immigrazione a tenere banco e questo aveva favorito la destra più populista e becera.

Le precedenti vicende elettorali in Europa hanno però dimostrato che l'impatto della crisi non determina affatto in modo univoco uno spostamento a sinistra. Anzi, in questo senso la Danimarca, rappresenta una felice eccezione più che la norma. Si può solo auspicare che non resti isolata.

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