lunedì 22 agosto 2011

Gli interrogativi cinesi sul futuro della Libia

La guerra civile libica sembra arrivata ormai ad un punto decisivo di svolta con l'ingresso delle forze ribelli nella capitale, l'arresto dei figli di Gheddafi e la resa senza combattere di alcuni reparti considerati i punti di forza militare del regime. Il conflitto, che già nelle prime settimane sembrava destinato ad una rapida soluzione, potrebbe trascinarsi ancora, aumentando il numero delle vittime e rischiando di lasciare un solco più profondo nella società libica, rendendo in tal modo più difficile la ricostruzione e l'uscita dalla crisi con un assetto più democratico ed anche, si spera, socialmente giusto, senza lasciare spazio ad ingerenze dall'esterno.

La posizione cinese su tutta la vicenda è stata netta su alcuni aspetti ma anche estremamente prudente. La Cina aveva stretti legami con la Libia, tanto è vero che ha dovuto nel giro  di poche settimane, se non di pochi giorni, evacuare alcune decine di migliaia di cinesi che lavoravano a diversi progetti economici. Nel Consiglio di sicurezza dell'ONU i cinesi, con la loro astensione, hanno permesso di fatto l'intervento militare occidentale, ma hanno anche cercato di definirne i limiti, affinché non diventasse una vera e propria invasione del Paese (per la quale a dire il vero esistevano molte remore anche nei governi che hanno dato il via all'intervento militare, in primo luogo negli Stati uniti). Hanno anche contestato quella che hanno ritenuto essere una forzatura nell'interpretazione della risoluzione del'ONU da parte di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, nell'andare oltre alla asserita volontà di intervento di protezione della popolazione di Bengazi dalla possibile azione militare delle forze del regime, per diventare un'azione militare di sostegno alla ribellione per cacciare Gheddafi e quindi effettuare un cambio di regime.

La Cina continua ad attenersi ad una visione della politica internazionale e dell'azione dell'ONU, nella quale resti saldo il principio della non ingerenza negli affari interni degli Stati. La prudenza e l'equilibrio dei cinesi nella vicenda libica si sono però dimostrati anche nella decisione di riconoscere il Consiglio nazionale di transizione, formato dai ribelli a Bengazi, come interlocutore politico necessario, pur senza arrivare, giustamente visto i dubbi sulla effettiva rappresentatività di questo organismo, ad un riconoscimento formale in qualità di autentico rappresentante del popolo libico.

Il Quotidiano del popolo, organo ufficiale del Partito Comunista, interviene questa mattina con un primo editoriale sulla improvvisa evoluzione della situazione in Libia, puntando l'accento soprattutto sulle incertezze del futuro e rimarcando le critiche alle potenze occidentali interventiste. 

"Durante i sei mesi della guerra, ci sono state opportunità per una soluzione politica della crisi, ma queste non si sono realizzate, in larga parte a causa della risoluta volontà dell'Occidente di far cadere il regime dell'uomo forte (ndr. Gheddafi). Questo atteggiamento ha reso il conflitto ancora più sanguinoso." L'editorialista ricorda che la guerra civile avrebbe già causato 25.000 morti.

Per quanto riguarda il futuro, continua l'editorialista, "ci sono crescenti preoccupazioni che la Libia possa diventare il prossimo Afghanistan. Conflitti etnici interni e tendenze religiose estreme non scompariranno con Gheddafi. La possibilità che il nuovo governo sostenuto dalla NATO sia altrettanto debole del governo centrale afghano preoccupa molti osservatori. Se una simile guerra civile si estendesse ad altri Paesi arabi, sarebbe un assoluto disastro. Nel mondo moderno i disordini di un paese si estendono ad altre zone"

Per quando riguarda il futuro del dittatore libico, l'editorialista suggerisce che "forse Gheddafi dovrebbe scegliere di fare un passo indietro volontario, evitando un'ulteriore tragedia. Ma il mondo dovrebbe creare le giuste condizioni perché ciò avvenga."

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