venerdì 23 agosto 2013

Che fare dell'euro? (Note sulla sinistra alternativa europea V)

Nella sinistra europea si è aperto un dibattito intenso sul tema della moneta unica. Vi sono forze significative, anche se per ora minoritarie, le quali suggeriscono la necessità di porre come obbiettivo prioritario per chi si oppone alle politiche neoliberiste e "austericide" dell'Unione Europea, l'abbandono della moneta unica. Vediamo una breve rassegna di come il dibattito è stato affrontato finora e a quali esiti ha portato.

Il 17 maggio scorso si è tenuta a Dublino una giornata di studio dei parlamentari del GUE/NGL della quale ha riferito Niels Jongerius del Partito Socialista Olandese sul sito Spectrezine. Il tema ufficiale dell'incontro era "le alternative economiche in tempo di crisi", ma di fatto è stata la questione dell'euro a diventare il principale argomento di discussione.

Michael Burke, economista consulente del Sinn Fein e collaboratore del "Socialist Economic Bulletin", ritiene ingiustificata l'attenzione rivolta dai partiti di sinistra alla questione dell'euro. Introducendo la discussione ha spiegato che, secondo lui, i partiti di sinistra devono prima decidere quale tipo di politica economica vogliono perseguire: una politica basata sull'austerità od una fondata sugli investimenti. Per Burke, la scelta è ovvia, la crisi è principalmente una crisi di investimenti e i soldi che dovrebbero essere utilizzati per gli investimenti restano nei forzieri delle banche. La sinistra deve proporre un'agenda economica basata sugli investimenti e rifiutare i discorsi sull'austerità, che spesso si traducono solo nel tagliare un po' meno della destra.

Secondo un'altra economista irlandese, Sheila Killian, più che nei forzieri delle banche i soldi si trovano nei paradisi fiscali. Per questo propone una politica comune europea sull'evasione fiscale e la fine del segreto bancario. Una linea che coincide con la campagna che sta conducendo il Partito Socialista Olandese per un cambiamento delle pratiche e della legislazione fiscale dell'Olanda che ha trasformato di fatto questo paese in un paradiso fiscale e per questo è uno dei maggiori punti di transito dei profitti delle multinazionali.

Secondo quanto riferisce Niels Jongerius, appena il dibattito si è concentrato sull'euro sono emerse le differenze di punti di vista. In diversi paesi, i partiti di sinistra hanno commissionato degli studi agli economisti per approfondire la questione. Stavros Evangorou, ha riferito di una ricerca da poco pubblicata su richiesta dell'AKEL, il partito comunista cipriota, la quale arriva alla conclusione che la politica del partito, se portata avanti, determinerebbe necessariamente l'uscita  dall'eurozona. "Ciò che serve ora, ha spiegato Evangorou, non è il salvataggio del settore finanziario cipriota, quanto piuttosto salvare il paese dal memorandum che minaccia il futuro di Cipro". Gli accordi previsti dal memorandum concluso dal governo di destra che ha vinto le ultime elezioni cipriote con l'UE e il Fondo Monetario Internazionale, determinano tagli di spesa, l'indebolimento dei diritti del lavoro e privatizzazioni.

L'AKEL prende seriamente in considerazione il fatto che Cipro possa essere costretta ad uscire dall'Eurozona qualora il partito possa tornare al potere, uno scenario che non è escluso come possibilità anche da Syriza ed ora dal Bloco de Esquerda portoghese.

Non solo nei paesi del sud si considera l'ipotesi della fine o dell'uscita dall'euro. La fondazione Rosa Luxemburg, vicina alla  Linke tedesca, ha richiesto un dettagliato studio a due economisti sul futuro dell'euro. La conclusione di questo studio è che la moneta comune europea è insostenibile, un punto di vista non condiviso nel meeting e che ha portato ad un acceso dibattito tra i parlamentari europei presenti.

E' positivo, commenta Jongerius, che la sinistra non prenda le mosse da sentimenti nazionalistici quando discute dell'euro o di altri aspetti dell'Unione Europea, come avviene per l'estrema destra, perché fare questo porterebbe ad escludere determinate minoranze e legittimare la violenza contro questi gruppi.

Una spaccatura dell'Eurozona avrebbe rilevanti conseguenze economiche per i popoli interessati e per l'Unione Europea nel suo insieme. Che la sinistra sia capace di discutere avvalendosi di studi economici seri offre la possibilità di produrre specifiche e significative analisi in vista delle elezioni europee del maggio del prossimo anno. Il Partito Socialista Olandese da parte sua renderà chiara la propria posizione sull'Europa nel congresso nazionale che approverà il manifesto per le elezioni europee previsto per il 22 febbraio 2014. Certamente questa posizione dovrà prevedere una rottura con le politiche di austerità che il sud Europa vive come una guerra economica nei suoi confronti.

In Germania il dibattito è stato acceso soprattutto da Oskar Lafontaine, uno dei leader della Linke, con un intervento del 30 aprile scorso nel quale propone l'abbandono dell'euro ed il ritorno al Sistema Monetario Europeo.
Per Lafontaine, ex ministro socialdemocratico poi entrato in rotta con le politiche centriste sostenute dal suo partito, "i tedeschi non hanno ancora preso coscienza che gli europei del sud, compresa la Francia, saranno, a causa della pauperizzazione economica, costretti a rispondere, presto o tardi, all'egemonia tedesca. Essi sono soprattutto sottoposti alla pressione del dumping salariale praticato dalla Germania in violazione dei trattati europei dall'inizio dell'unione monetaria. La Merkel si risveglierà dal suo sonno del giusto quando i paesi che soffrono del dumping salariale tedesco si metteranno d'accordo per imporre un cambiamento della politica di gestione della crisi a spese delle esportazioni tedesche."
Questo dumping salariale richiederebbe una svalutazione consistente della moneta per paesi come Spagna o Portogallo, ed una rivalutazione salariale dell'ordine del 20% per la Germania.
"Se degli spostamenti reali verso l'alto o verso il basso non sono possibili in questo modo, diventa necessario abbandonare la moneta unica e ritornare ad un sistema che renda possibile le svalutazioni e le rivalutazioni, come era il caso con il predecessore della moneta unica, il Sistema Monetario Europeo. (...) Una condizione preliminare al funzionamento di un Sistema Monetario Europeo sarà la riforma del settore finanziario e la sua stretta regolamentazione, ispirandosi al sistema delle casse di risparmio pubbliche (tedesche, ndr). Gli speculatori devono sparire."
A questa proposta ha risposto anche Bernd Riexinger, uno dei due co-presidenti della Linke. Dopo aver ricordato le proposte nel programma elettorale del partito per risolvere il problema della crisi, risponde a Lafontaine che non ci sono scorciatoie per imporre una soluzione di sinistra della crisi. Le proposte della Linke possono essere articolate con le lotte reali contro l'egemonia liberale.
"La questione controversa di sapere se si deve scegliere piuttosto il teatro nazionale o europeo per questo è mal posta. Evidentemente occorre agire in modo determinato sul piano nazionale per le rivendicazioni sociali e i diritti democratici. Ma non vi può essere dubbio sul fatto che il capitale e le grandi imprese sono da tempo scappate verso l'Europa e l'internazionale, dove esse si costruiscono i loro collegamenti, e che utilizzano questa potenza economica per imporre i loro interessi anche politicamente. E' esattamente questo che costituisce la base materiale dell'egemonia liberale in Europa. (...) E' la ragione per la quale non vi è altro cammino che quello della cooperazione, del coordinamento e della comprensione reciproca tra i sindacati, i partiti di sinistra e i movimenti sociali."
Il dibattito si è sviluppato con diversi approfondimenti tecnici da parte di economisti e ricercatori. Da un lato un dettagliato e complesso studio. già richiamato sopra, è stato commissionato dalla fondazione Rosa Luxemburg a due economisti, Costa Lapavitsas e Heiner Flassbeck, sulle cause della crisi dell'euro e le effettive terapie per uscire da questa crisi.
Secondo i due economisti "al cuore del fallimento dell'Unione Monetaria Europea si trova il modello economico mercantilista della Germania e l'incapacità degli altri paesi europei di mettere in discussione il modello apertamente e di convincere la Germania che non è nemmeno nel suo interesse optare per la competizione piuttosto che per la cooperazione tra nazioni."
"Per la prima volta nella storia della crisi europea, i cittadini sono stati così scioccati che non è più un tabù parlare di un'uscita dall'unione monetaria." I due autori pure essendo fautori di un'ordinata uscita dall'euro affermano che i "paesi che considerassero l'uscita dall'UME (Unione Monetaria Europea) in un situazione simile a quella di Cipro devono pensarci due volta prima di uscire anche dell'UE. La continua partecipazione all'UE può risultare importante per mantenere legami con il mercato comune europeo."

Nel dibattito è intervenuto anche Mario Candeias, uno dei principali ricercatori della Fondazione Rosa Luxemburg. Candeias ha esaminato dettagliamente i pro ed i contro, dal punto di vista economico, di un'eventuale uscita dall'Euro. In presenza della determinazione di chi detiene il potere e della fazioni del capitale che li sostengono di difendere a tutti i costi l'Euro, la sua conclusione è che "sostenere un'uscita ordinata basata sulla solidarietà o il ritorno al Sistema Monetario Europeo non è meno illusorio che mettere in primo piano le richieste per un Europa sociale...solo più rischioso." Ma dietro alla questione dell'uscita dall'euro si nasconde un'altra questione: qual è la posizione della sinistra intorno al progetto europeo.
"La questione dell'uscita dall'Unione Monetaria Europea - scrive Candeias - o l'utopica armonizzazione di un modello sociale europeo è in fondo, la questione sbagliata. Un'uscita dall'UME - ammesso che vi sia una possibilità per la ricostruzione economica con la moneta nazionale svalutata del paese che ne esce - determinerebbe indubbiamente conseguenze politiche ed economiche, l'estensione delle quali può essere difficilmente sovrastimata. Potrebbe portare ad una reazione a catena in altri stati e forse nel collasso non solo dell'Unione Monetaria Europea, ma dell'Unione Europea nel suo complesso, con conseguenze egualmente disastrose per il popolo tedesco che per gli altri. Strategicamente, con l'uscita, la Grecia rinuncerebbe all'argomento più potente da porre sul tavolo dei negoziati: la minaccia del fallimento. (...) Non ci sarebbe nulla di contrario, dove possibile, a promuovere "buone misure unilaterali" (per esempio controlli sui capitali o riforme fiscali) e di non attendere "fino a che una 'buona' Europa venga creata', come proposto (dall'economista francese vicino all'NPA) Michel Husson. "Vale la pena di correre il rischio politico accompagnato ad una rottura delle direttive europee"...ciò non significa un'uscita. Altri paesi potrebbero seguire. Allora ci sarebbe la possibilità di espandere riforme all'interno dell'Europa che sono iniziate in uno o più paesi ad altri."
Secondo linee simili il dibattito si è aperto anche in Francia soprattutto per effetto di un recente articolo in favore dell'abbandono dell'euro pubblicato sulla prima pagina del Monde Diplomatique, influente negli ambienti altermondialisti. Anche in Francia si sono però espressi in direzione contraria numerosi economisti, sia vicini al Front de Gauche che all'NPA, di origine trotskista, pur delienando a loro volonta strategie alternative non del tutto convergenti.

In Spagna un appello per uscire dall'euro è stato sottoscritto dall'ex leader di Izquierda Unida, Julio Anguita, sulla base della valutazione della "non riformabilità" dell'Europa attuale: 
"È necessaria una moneta propria per competere e una politica monetaria sovrana per somministrare liquidità al sistema e stimolare una domanda ragionevole. E questo come prima condizione ineludibile, però non sufficiente, per poter sviluppare una politica avanzata di controllo pubblico dei settori strategici dell’economia, di nazionalizzazione delle banche, di ricostruzione del tessuto industriale e agricolo, di difesa e potenziamento dei servizi pubblici fondamentali con un potente e progressivo sistema fiscale, di ammortizzamento delle disuguaglianze e distribuzione della ricchezza, di ripartizione del lavoro per combattere la disoccupazione, di deroga delle controriforme del lavoro e delle pensioni, di rispetto vero verso l’ambiente, ecc…, e di affrontare un processo costituente che permetta di recuperare e approfondire la democrazia. Per tutto ciò bisogna lasciare da parte transitoriamente il deficit pubblico, dimenticarsi di fare proposte impossibili alla BCE e smetterla di avere nostalgia della Riserva Federale o della Banca d’Inghilterra quando si può disporre della Banca di Spagna come istituzione equivalente."
Questa posizione resta minoritaria n Izquierda Unida che ha tenuto il 22 giugno 2013 una Conferenza sull'Europa. In merito, il documento base approvato, pur valutando le ragioni che militano a favore dell'abbandono della moneta e volendo mantenere aperto il dibattito afferma:
"Non possiamo negare che un importante problema risiede nel fatto che abbandonando l'euro, e anche nel caso il paese in questione rinneghi completamente il debito accumulato, si aprirebbe il problema di finanziare i deficit commerciali e pubblici. E le condizioni per farlo si sarebbero enormemente deteriorate, con la chiusura dei mercati finanziari che solo potrebbe essere compensato con le emissioni monetarie della banca centrale. Come conseguenza di dover sostituire le importazioni, che aumenterebbero di prezzo, emergerebbe un processo inflattivo di notevole grandezza. Per altro verso l'elevata dipendenza energetica - i cui prezzi mondiali sono in aumento - e l'assenza di politiche industriali in Spagna - che hanno ridotto la capacità di esportazione del paese - determinerebbe che gli effetti netti della svalutazione sarebbero minori del previsto."
Inoltre Izquierda Unida ritiene prematuro assumere una decisione sull'euro senza un confronto ed una convergenza a livello europeo, per questo chiede che il prossimo congresso della Sinistra Europea si pronunci su questo tema.

Franco Ferrari

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